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Incendiato il Museo dello Strumento Musicale: Suona Reggio, Suona!"

Incendiato il Museo dello Strumento Musicale: Suona Reggio, Suona!"

Il Museo dello Strumento Musicale (MuStruMu) è stato dato alle fiamme per mano dolosa la notte dello scorso 4 novembre e l'incendio ha distrutto completamente gran parte degli 800 strumenti musicali (cordofoni, aerofoni, idiofoni, membranofoni e meccanico-elettrici), la liuteria e i libri antichi della biblioteca. 

Dopo poche ore dal diffondersi della notizia della distruzione del Museo, sul web è partito il tam tam dell'evento “Suona Reggio, Suona!”, con un appello-invito che ha già raccolto oltre mille adesioni. 

Ad appassionare un collezionista non è mai l’amore per l’oggetto in quanto tale, ma l'amore per ciò che rappresenta: la memoria di un luogo, di un aneddoto, di un tempo o il desiderio di conoscenza insito in esso. Se l'oggetto da collezione è uno strumento musicale si intrecciano anche memorie, tempi e luoghi prodotti dalla melodia, la quale di certo non si colleziona ma si diffonde capillarmente attraverso la sua riproduzione e descrizione.

Fu questo ad animare nel 1996 in un medico, Demetrio Spagna, la voglia di immaginare e realizzare il Museo dello Strumento Musicale nei locali della vecchia stazione Lido a Reggio Calabria, accanto alla pineta che affaccia sul mare blu dello Stretto. I primordi sullo sfondo delle prove d'orchestra della famiglia Reitano nel quartiere di Santa Caterina, quando Mino non aveva ancora in testa “Gente di Fiumara”.

I tempi di “una chitarra e cento illusioni” nella Reggio che il boom economico manco sapeva (e non l'ha mai saputo) dove stesse di casa. I tempi in cui nei villaggi contadini della provincia i chierichetti andavano di casa in casa ad annunciare l'imminente messa, suonando la tròccola al grido di “ìti a Missa cu Signuri è sulu” (“andate a Messa che il Signore si sente solo”). Gli stessi tempi in cui a migliaia di chilometri di distanza i bambini shona dello Zimbabwe suonavano le likembe ad annunciare il rito della ricongiunzione con gli antenati.

La tròccola, la pipita e la lira accostate alle likembe, le zanze e le marimbe non racchiude appunto l'amore per gli oggetti in sé, ma per ciò che è il valore insito nel loro accostamento, il valore universale della conoscenza e della condivisione di culture diverse che si toccano profondamente nello spirito. Un Museo non testimonia e basta e non è teatro solo dell'ammirazione, è “strumento” di culture e tradizioni che si perpetuano nonostante la progressione della post-modernità tende a seppellire sotto cumuli di polvere e muffa.

Il Museo dello Strumento Musicale (MuStruMu) è stato dato alle fiamme per mano dolosa la notte dello scorso 4 novembre e l'incendio ha distrutto completamente gran parte degli 800 strumenti musicali (cordofoni, aerofoni, idiofoni, membranofoni e meccanico-elettrici), la liuteria e i libri antichi della biblioteca. Una parte si è salvata grazie ad una teca protettiva, quasi che la sorte volesse significare il valore resistente della musica in mezzo alle macerie della volontà scientifica a schiacciare Reggio in un abisso subculturale che alla lunga è abulìa, parassitismo, sopraffazione e la mestizia del proverbiale “figghioli c'avimu a fari, a Riggiu simu” (“ragazzi che dobbiamo fare, siamo a Reggio”). Questa frase serpeggia spesso nelle conversazioni dei giovani reggini nelle bevute fuori dai locali bordo strada e nelle piazze, quelle stesse piazze in cui magari per fare serata i “figghioli”, che mal sopportano il rituale dispendioso del divertentismo che fa tendenza con l'apparire, esibiscono chitarre e tamburelli bestemmiando il fatto che di sale prove ce n'è poche e pochissime costano il giusto. Per non parlare di incidere un pezzo.

I giovani di Reggio Calabria che suonano e cantano sono molti di più di quanti se ne immaginano, e molto spesso esprimono il loro talento al chiuso dei garage e delle loro stanze. Rappano in freestyle nei bagni di scuola o “a murra” nelle panchine del lungomare e della Villa comunale nelle mattine quando “t'a jochi” (fai sega) e nei pomeriggi quando non si sa che fare e dove andare (“undi 'ndi minamu”?).

Se in una delle città più economicamente depresse d'Italia si destinano 200 metri quadrati in Centro per esporre lo scibile storico e moderno della musica di tutto il mondo, compreso tutto lo scibile della musica calabrese, sconosciuta ai più in loco o ovunque, collocati per esodo forzato o perseguito, non trattasi di opportunità ma di anomalia.

Anomalia al cubo è poi costruire dentro un Museo rassegne per la promozione di giovani artisti impegnati in miriadi di generi musicali, è consultare vecchi spartiti delle muttette ottocentesche dei pastori, è suonare gli stessi strumenti in esposizione mentre ne ammiri altri, è pianificare la tua visita singola o di gruppo prima di entrare, direttamente dal sito web. Se poi tutto questo per i bambini è gratis, per i ragazzi fino a 16 anni costa 2,50 € e per gli adulti 3,50 €, trattasi di anomalia pura che dopo essere stata distrutta ha prodotto forte sdegno popolare e parimenti (a parte qualche eccezione) il proverbiale ammutinamento della politica, istituzionale e non.

Dopo poche ore dal diffondersi della notizia della distruzione del Museo dello Strumento Musicale sul web è partito il tam tam dell'evento “Suona Reggio, Suona!” (l'ipotesi è la mattina di domenica 17 novembre ma la data e l'orario sono in via di definizione), con un appello-invito che ha già raccolto oltre mille adesioni. “Prendi uno strumento, scendi in strada, suonagliele per la tua città” così recita il sottotitolo di questo corteo musicale di protesta attraverso cui si invita la cittadinanza reggina a muoversi dalla propria abitazione per raggiungere la pineta Zerbi, di fronte al Museo dello Strumento Musicale, appunto suonando simbolicamente uno strumento.

Non un corteo classico, non un sit in e nemmeno dunque un flash mob, ma una marcia in musica tutt'altro che silenziosa che a grappolo tenta di riempire le strade di una città in preda al sopore da inerzia.

Per una volta non un rituale da spartito già scritto, ma una svisatura di tante note a sottolineare il carattere rivoluzionario – recita l'appello - e interculturale della musica in tutte le epoche.

Non un giro di DO, non un accordo con il RE, non una cantilena che FA e non FA, né un coro da SOL.

Ma una grande orchestra melodiosamente stonata in MI.

MI riprendo il Museo.

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