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25-26 ottobre: abitare l'opposizione sociale

25-26 ottobre: abitare l'opposizione sociale

Come già accadde nel 2008, di nuovo sono stati gli studenti ad interrompere la luna di miele - con se stesso e con il consenso - di un governo eletto (o quasi) solo a maggio e che pure si lasciava presagire come incontestabile o imbattibile.

Nel 2008 si trattava del quarto governo Berlusconi; ora abbiamo a che fare niente meno che con le larghe intese, guidate da un Pd incredibimente volato al 41%.

L'entrata in scena degli studenti che il 10 ottobre hanno riempito le piazze del Paese segna, nel consenso renziano, qualcosa di più profondo di una crepa: un solco.

Questo avviene anche con il supporto della più grossa confederazione sindacale, la CGIL, che qui si mobilita in risposta agli attacchi del premier, mai così duri.

Una manifestazione, in pieno autunno, del sindacato, contro un governo guidato da un esponente del centrosinistra non è affatto un segno irrilevante. Come non irrilevante è il percorso che ha portato alla convocazione il 14 novembre dello “sciopero sociale”; ottenendo il non piccolo risultato di far tornare a dialogare e progettare insieme aree di movimento che negli ultimi anni avevano combattuto con non pochi problemi al loro interno.

Posta così ci sarebbero tutti gli elementi per poter pensare (e forse sperare) ad un autunno con un alto grado di conflitto.

Chiaramente si ravvisa un pericolo immediato: non conosciamo l'efficacia di questa opposizione sociale. Quello che si pone non è tanto il problema di quanto le piazze possano incidere sui provvedimenti in discussione, piuttosto di quanto possano essere in grado di “fare egemonia” nel discorso pubblico del paese. È necessario non lasciarsi affascinare dall'estetica dell'opposizione sociale ma impegnarsi per trovare soluzioni di efficacia.

Il pericolo maggiore dell'estetica dell'opposizione sociale è infatti quello di finire col dare una parvenza di democrazia ad una gestione oligarchica del potere, consolidata nelle larghe intese. Finendo in maniera controproducente con il rafforzare ciò che si sta combattendo.

Fra le qualità di Matteo Renzi vi è di certo una non comune velocità con la quale rilascia dichiarazioni e occupa lo spazio pubblico. Più lenta per fortuna è la traduzione delle sue intenzioni nel processo legislativo.

Inseguire il governo nei suoi provvedimenti significa lasciarsi dettare l'agenda, cedere il terreno dello scontro, vedendoselo deformato ad arte. Non gli lasceremmo in mano solo i tempi ma perfino la scelta dei soggetti da attaccare e con cui scontrarsi.

Il tentativo di rappresentare l'opposizione al JobsAct come sinistra conservatrice, attaccando personalmente i protagonisti di una certa cultura politica è, d'altronde, un cul de sac in cui è pericoloso farsi rinchiudere.

Per questi motivi l'assemblea del 26 ottobre, che si terrà a Roma, dal titolo “la nostra vita non è un gioco” e che vede protagonisti oltre ad Act - Agire, Costruire, Trasformare che la promuove, pezzi del sindacato, movimenti sociali e amministratori locali è fondamentale come strumento di autodeterminazione del conflitto sociale. Non solo, e già sarebbe molto, nel determinare l'immaginario e il possibile ruolo del confitto stesso ma sopratutto nel tessere quelle relazioni fra componenti diverse di una battaglia che è tanto più solida quanto più forti sono i legami fra le componenti che la costituiscono.

La sfida è dunque come abitare l'opposizione sociale dandogli profondità e prospettiva. Per riuscire a costruire nella lotta una visione alternativa della società, più efficace dell'egemonia liberista.

Non c'è dunque, come vogliono far credere, una “pars destruens” al Jobs Act e una “costruens” che chiede un avanzamento dei diritti. La fase attuale pretende un piano contro-egemonico della lettura della realtà come requisito della lotta. Perché se la generazione precaria non si convincerà dell'utilità di scendere in piazza, non lo farà in maniera compatta per semplice senso di appartenenza a questa o a quella area o tradizione politica.

Il nuovo elemento che si apre come terreno della battaglia è superare il lutto dell'appropriazione, più o meno, bisogna ammetterlo, indebolita, di alcuni termini da parte del Movimento Cinque Stelle.

Dobbiamo sciogliere gli indugi e riappropriarci della critica all'establishment globale, involgarito dal concetto di “casta”, dobbiamo pretendere un rinnovamento della democrazia rappresentativa data per moribonda da troppi, e alla quale le larghe intese renziane vorrebbero sostituire un governo plebiscitario che coniuga consenso diffuso e tutela gli interessi delle oligarchie.

Dobbiamo contrapporre un modello di democrazia, digitale e interpersonale, del tutto nuovo. Sperimentarlo soprattutto come medicina della celeberrima “crisi dei corpi intermedi” che il premier cavalca, ma che non ha di certo inventato lui.

Per questo dobbiamo abitare questa opposizione sociale con l'ambizione di prendere il potere. Potere come verbo: come possibilità concreta di determinare il futuro delle nostre vite.

(Foto di Ivan Crivellaro)

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