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La telefonata di Letta, il Campidoglio e le larghe intese

La telefonata di Letta, il Campidoglio e le larghe intese

Mentre nella piccola Piazza di Pietra a Roma si stava ancora festeggiando le agenzie hanno battuto una notizia, apparentemente innocua: "il premier Enrico Letta ha telefonato a Ignazio Marino per complimentarsi della vittoria e fargli auguri di buon lavoro. Il premier ha telefonato anche a Gianni Alemanno."

Poco prima lo stesso Letta aveva dichiarato: "Il risultato delle amministrative, visto nel suo complesso, rafforza lo schema del governo di larghe intese". In molti sono rimasti sbigottiti e hanno provato a smentire il premier. 

Una dichiarazione "folle e insensata" per molti, ad esempio per Nichi Vendola "oggi vince centrosinistra alternativo a destra". Ed effettivamente ci troviamo intenti a festeggiare la cacciata di personaggi come Alemanno e Gentilini e il PD può vantare un netto e inequivocabile 16 a 0 con segnali molto positivi e vittorie molto importanti in piccoli e grandi centri. 

Come sintetizza bene Dino Amenduni in questo post – nonostante il risultato frutto anche dei "meccanismi di selezione della classe dirigente di PDL e M5S a livello locale" e in generale le caratteristiche del voto locale, il voto "non modificherà i rapporti di forza centrosinistra-centrodestra all’interno del governo Letta".

Al netto di letture dei dati ben più articolate la dichiarazione di Letta è apparentemente distante dalla volontà espressa degli elettori con il voto, come con l'astensione. Dicono in molti che si vince "nonostante il pd e le larghe intese" facendo notare che Marino avrebbe votato Rodotà, e che si è tenuto ben distante dalla linea nazionale del partito democratico. 

C'è chi, stupito, si chiede come sia stato possibile che Letta ritenga che questo sia un voto che rafforza le larghe intese sta nell'attenzione che si presta "ingenuamente" alla sovranità popolare. In Italia, in forme molto rozze e confuse sono anni che l'elettorato chiede cambiamento e discontinuità radicale.

Ma la sovranità popolare conta poco nel sistema politico come nel dibattito pubblico, e infatti non è a quello che guarda Letta. Se, infatti, un premier di un paese occidentale, terminato il ballottaggio della sua Capitale – caratterizzato da un'affluenza sotto il 50% – è nelle condizioni di telefonare ad entrambi i candidati per complimentarsi cordialmente del risultato forse tutti i torti nell'ignorare la sovranità popolare non ce li ha. 

Queste elezioni segnano un dato ormai ineludibile, non si sa per quanto tempo e con quali conseguenze e strascichi, ma in Italia nel mutamento profondo della fine della Seconda Repubblica, si sta consolidando un finto bipolarismo, con i due principali partiti di tale schema che da due anni governano insieme il Paese. E' un problema di cui non gioire.  

Il fatto che, nonostante le scelte di SeL dopo le elezioni e gli altri tentativi a sinistra – generosi o inefficaci che fossero – ad oggi l'unica alternativa politica visibile e percepita sia il Movimento 5 Stelle è un problema di tutti noi. Anche perché l'unica alternativa politica visibile non è in grado di produrre alcun cambiamento, se non altre macerie. La domanda a volte implicita, a volte evidente, degli elettori non trova sbocco credibile o sufficiente a intervenire sui rapporti di forza e sul dibattito pubblico.

In sintesi la fase politica si riassume così: a Roma e Treviso razzisti e postfascisti lasciano la fascia tricolore, Letta telefona sia a Marino che ad Alemanno, l'affluenza è sotto il 50%, ci sono le larghe intese, la crisi morde, peggiora. "Fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene".

Ultima modifica ilLunedì, 21 Ottobre 2013 15:45
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