Illegalità non vuol dire ingiustizia: la circolare Salvini sugli sgomberi e il diritto all'abitare
- Scritto da Claudio Riccio
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Una circolare di Matteo Salvini ordina ai comuni e alle questure un censimento immediato degli stabili occupati e di procedere con gli sgomberi, per le soluzioni di maggior fragilità solo nella fase successiva allo sgombero si procederà a trovare una soluzione. Insomma: intanto l’ordine è di buttare per strada tutti, anche bambini, disabili, anziani, italiani e stranieri poi penseremo che farne…
La circolare dice esplicitamente che non si possono tollerare le occupazioni perché “la proprietà privata è sacra”
Oggi a Sesto San Giovanni è stato sgomberato un immobile appena occupato, con 56 famiglie e 85 bambini. L’immobile è di Alitalia che lo tiene sfitto da anni. Una volta sgomberato tornerà ad essere vuoto e in disuso. Che senso ha questo sgombero? Quale diritto si tutela?
Quando si parla di questi temi è bene ricordare che:
- In Italia le case vuote sono oltre 7 milioni, più di un’abitazione su cinque, per l’esattezza il 22,5% del totale è senza inquilini.
- La Costituzione non dice che la proprietà è sacra, ma anzi nell’art. 42 dice che “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina […] i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.”
- Illegalità non è sinonimo di ingiustizia. A volte ci sono cose illegali, ma giuste e necessarie.
- C’è una grande differenza tra i problemi e le infiltrazioni criminali nelle graduatorie delle case popolari cui fa riferimento qualcuno e le tantissime occupazioni abitative organizzate dai movimenti di lotta per la casa. Si tratta di iniziative che nella sola Roma danno un tetto sotto cui vivere a diecimila persone che altrimenti vivrebbero in mezzo a una strada nel disinteresse dello Stato.
- la gran parte delle case occupate sono in stabili di grandi proprietari immobiliari, banche, grandi aziende e fondi di investimento. Vengono tenute sfitte anche con l’obiettivo di influenzare il mercato immobiliare. Si chiama speculazione, e non è affatto un diritto da tutelare. Non si tratta quasi mai di gente comune che resta senza casa perché qualche cattivone l’ha occupata.
- per Salvini & Co la proprietà privata è sacra, la vita di chi muore in mare non conta nulla. Questo già basterebbe…
- È positivo che nel PD ci si indigni per questi sgomberi e per questa circolare. Farebbe bene anche un po’ di autocritica sull’articolo 5 del decreto legge n. 47 del 2014, il cosiddetto decreto Lupi-Renzi che consentiva di togliere luce e soprattutto acqua agli occupanti, lasciando senza possibilità di bere e lavarsi tantissime famiglie con bambini.
- Sempre più persone perdono la casa. L’aumento degli sfratti è costante. Nel 2016 sono andati all’asta 270.000 immobili di famiglie indebitate. Le procedure di sfratto nel 2016 sono state 35.336, nel 2015 erano state 32.723, nel 2008 — primo anno della crisi — erano 25.108.
- i pochissimi fondi per la manutenzione dell’edilizia popolare esistente vengono in assegnati con grande squilibrio tra nord e sud (ad esempio il programma di recupero delle case popolari prevede 30 milioni di euro per il Friuli Venezia Giulia per 287 alloggi e 11,5 milioni per la Calabria a fronte di 376 alloggi. Per non parlare della Puglia che riceve 42 milioni per 4.100 alloggi). I fondi statali per la costruzione di nuove case popolari sostanzialmente sono pari a zero.
- sbattere migliaia di persone per strada senza prevedere alcuna soluzione non migliora di certo la sicurezza di cui tanto parla Salvini e cui dovrebbe badare il ministro dell’Interno.
L’emergenza abitativa esiste, ma non ha nulla a che vedere con le occupazioni. A toglierci la casa non sono né i movimenti per il diritto all’abitare, né gli immigrati, a toglierci la casa è la speculazione immobiliare, il boom di air bnb nei centri storici che svuota le città d’arte e le rende musei in cui è impossibile fittare una stanza, l’enorme mole di case sfitte. Di questo dovrebbe occuparsi il governo che dice di essere dalla parte della gente.
A me sembrano il solito governo dalla parte dei palazzinari e dei potenti, gente che invece di combattere la povertà fa la guerra ai poveri.
Proposte per il diritto all'abitare
Se la casa è una priorità è bene, però, chiedersi: come possiamo garantire davvero il diritto all’abitare, noi che proponiamo un’alternativa radicale allo stato di cose esistente?
La domanda è di grande attualità, dato che — come ci ha insegnato la bolla immobiliare scoppiata nel 2007 — la connessione tra speculazioni immobiliari e finanziarie, insieme alla continua estrazione di rendita fondiaria, restano uno dei perni dell’attuale accumulazione capitalista.
Si tratta allora di lottare contro il modello di sviluppo che David Harvey ha definito “accumulation by dispossession”. Anche in un Paese come l’Italia che, tradizionalmente caratterizzato da risparmio privato e propensione all’acquisto della proprietà della prima casa, registra oggi ingiustizie sempre maggiori.
Il fatto è che troppe persone vivono nella marginalità e senza accesso sicuro alla casa, con la crescita costante degli sfratti e della guerra tra poveri. Il fatto è che un enorme patrimonio immobiliare è vuoto o sfitto e versa in stato di abbandono, con conseguenze come la negazione di spazi di abitazione e aggregazione, nonché un generale deperimento dei tessuti urbani (con danni urbanistici e alla salute).
Per dirla in sintesi: lotta agli spazi vuoti, più accesso alla casa per tutti. Come dicono da tempo i movimenti di lotta per la casa che liberano gli spazi abbandonati per darli a chi ne ha bisogno: “troppe case senza gente, troppa gente senza casa”. Ma dietro lo slogan serve una proposta radicale e concreta per il diritto all’abitare.
Non serve costruire: occorre anzitutto rimediare agli scempi recenti e affermare il principio del “consumo di suolo zero”. Continuiamo a occupare il nostro territorio danneggiandolo in modo pressoché irreversibile. Dal dopoguerra a oggi il suolo consumato in Italia è aumentato del 184%. A livello nazionale è consumato il 23,2% della superficie a 300 metri dalla costa. L’Italia cementifica 30 ettari di suolo al giorno, dice l’Ispra che è come se in pochi mesi avessimo costruito 200mila villette. La percentuale di suolo consumato, sull’intera superficie nazionale, è il 7,64%. La media Ue è 4,1% (ne ha parlato bene Valigia Blu a partire da una conferenza stampa Ispra).
Una questione di umanità: è urgente cancellare il “decreto Lupi” (d.l. n. 47/2014), con quel suo nefasto articolo 5 che stabilisce che “chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge.” Di fatto si nega l’acqua alle famiglie che invece di vivere per strada hanno occupato delle case abbandonate.
Chi paga: Un ruolo centrale per garantire davvero il diritto all’abitare è giocato dalla leva fiscale. Dobbiamo lottare per una riforma dell’imposizione immobiliare ispirata a progressività e giustizia sociale, per esempio tassando in modo pesante il patrimonio immobiliare sfitto dei più ricchi (e così incentivandone l’uso). L’Italia deve avere imposte patrimoniali sulle prime case di lusso, abitate da chi possiede grandi redditi e patrimoni. E poi, dobbiamo superare la vergogna della cancellazione dell’Imu su tutte le prime case, uno dei fiori all’occhiello di Renzi, denunciato di recente perfino dalla Commissione Europea.
Case ecologiche: Introdurre una vera tassazione sulla casa consente di realizzare in maniera efficace una politica di incentivi fiscali per interventi per rendere ecologiche le abitazioni del nostro paese: ristrutturazioni finalizzate a efficientamenti energetici e riduzione dei consumi sul patrimonio immobiliare esistente.
Basta case sfitte: La lotta alle proprietà assenteiste deve essere coraggiosa e incisiva. Fatti salvi eventuali obblighi di bonifica, se la proprietà, privata o pubblica che sia, si risolve in spreco di risorse e/o esercizio abusivo del diritto di esclusione, la protezione di essa deve cedere il passo all’interesse ad accedere alla casa. Questo nuovo paradigma istituzionale può concretizzarsi in due meccanismi, non in contraddizione tra loro. Da un lato, ci si può ispirare al regime delle terre incolte — la legge n. 440/1978 è ancora in vigore — e rompere un tabù, proponendo un censimento su tutto il territorio e l’assegnazione sistematica dell’uso delle abitazioni sfitte a chi ne faccia richiesta.
Dall’altro lato, è possibile mutuare previsioni esistenti in Francia e introdurre un sistema che, in presenza di prolungati stati di abbandono, faccia scattare la presunzione legale di abbandono della proprietà immobiliare e l’acquisizione al patrimonio pubblico del bene, che poi potrebbe essere usato a fini sociali.
Nella Barcellona di Ada Colau si interviene sulla proprietà immobiliare delle banche con grande fermezza: sanzioni da 315.000 euro per ciascuna abitazione sfitta. Si colpiscono però solo le banche e i grandi proprietari, salvaguardando ovviamente i piccoli proprietari dato che le multe riguardano solamente chi è proprietario di immobili per oltre 1.250 m quadrati.
Questo ragionamento sul contrasto agli immobili sfitti va calato per noi nella più ampia cornice dei beni comuni e del diritto alla città, nell’ottica di accrescere gli spazi di democrazia. Ciò significa, in concreto, riconoscere e promuovere l’iniziativa di singoli e movimenti che si attivino per contestare — anche contro il settore pubblico — speculazioni immobiliari e proprietà assenteiste, nonché per sperimentare forme nuove dell’abitare e dello stare insieme (solo due esempi: il co-housing e le social streets).
Del resto, sulla scorta di ciò che già nel 1970 Valentino Parlato notava, nella sua grande inchiesta sulla casa, “se si vuole che chi non ha abitazione possa conquistarsela e chi la ha possa riappropriarsi di un uso umano, cioè socialedell’abitazione, crediamo che la via da seguire sia quella, nella quale il cambiamento del modo di produzione, si accompagni al cambiamento della natura del prodotto”.
Anche per questo serve lanciare una grande battaglia politica per il diritto all’abitare e riportare al centro la questione abitativa come uno dei cardini della lotta per la redistribuzione delle ricchezze e contro le diseguaglianze.
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