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I forconi: le larghe intese e la strategia della bassa tensione

I forconi: le larghe intese e la strategia della bassa tensione

Il 12 dicembre è sempre una data significativa. La bomba di piazza Fontana a Milano ha segnato la memoria meneghina, ma soprattutto ha fornito delle chiavi di lettura dei fenomeni politici. La strategia della tensione ci ha spiegato quanto si possa indurre una azione per legittimare la reazione: quando l'obiettivo è distruggere il campo del dissenso, i mezzi indiretti possono essere molto più efficaci di quelli diretti.

 

Un parallelismo fra il movimento dei forconi e la strategia della tensione non è solo azzardato, è quasi fuori luogo. Però la memoria storica può aiutarci a interpretare il presente, a individuare alcune dinamiche già vissute per provare a fare una diagnosi, e formulare una risposta.

Se ci domandiamo dal '48 a oggi a cosa sia servita l'eversione di Destra, nella gran parte dei casi la risposta è univoca: il fine ultimo è la legittimazione del governo in carica. Le modalità sono sostanzialmente due: o le bombe o le minacce. Da una parte, dunque, la già citata strategia della tensione; dall'altra i due golpe mai compiuti, che mostravano al PCI cosa sarebbe successo se fosse andato al governo. Allende docet.

In molti si chiedono chi trarrà vantaggio cavalcando l'onda dei forconi. E chiaramente i fari vengono puntati su Grillo in primis, e su Berlusconi poi. Ma l'atteggiamento delle forze dell'ordine e dei giornali filo governativi, che ingigantiscono il fenomeno, farebbe pensare il contrario.

La diffusione di una rivolta violenta con i cittadini, caotica, dal sapore fascista, senza prospettive politiche reali se non il disordine potrebbe rafforzare, infatti, proprio il governo.

Gli elementi che concorrono a consolidare il governo sono molteplici.

Innanzitutto la consapevolezza che ad ogni azione eversiva che genera paura si crea un sentimento speculare e contrario di desidero di ordine. E quindi per un governo centrista che si percepisce con un asse spostato a sinistra, il reagente speculare è un'eversione fascistoide-qualunquista, che faccia ritornare il registro linguistico grillino fuori dalle istituzioni, nel popolo analfabeta da contrapporre alla preparazione e cultura dei tecnici e neocentristi.

Il secondo aspetto ha le sue radici in una delle peggiori tradizioni della sinistra, ovvero cercare di distruggere tutto ciò che si trova alla propria sinistra. Nel caso del PD, a ben vedere, si tratterebbe di quasi tutto l'esistente... ma non nella testa di una certa nomenclatura.

La vittoria di Renzi vorrebbe occupare il campo del “cambiamento” in salsa riformista e neoblariana, ma per fare ciò deve assicurarsi che non vi sia una proposta praticabile di cambiamento degna di questo nome, come per l'appunto una sinistra contro l'austerity e contro le banche.

Il modo migliore per garantire questo quadro riformista neoblairiano consiste proprio nel promuovere la percezione secondo cui la critica all'Europa e all'austerity sarebbe un fenomeno di destra. In che modo? Avallando la concretizzazione della protesta in forme fascistoidi, ovvero come una proposta di chiusura nazionalista.

Questa chiave di lettura non pretende certo di dare una lettura esaustiva del fenomeno, e parte dalla consapevolezza che il movimento dei forconi non è monolitico ne tantomento riconducibile interamente all'eversione di destra, ma può forse spiegare il perché di tanta risonanza mediatica. Il fenomeno ha infatti ottenuto le prime pagine di Repubblica e del Corriere, a fronte di un dato numerico certamente inferiore alle manifestazioni del 16 novembre (da stopBiocidio, a Napoli, ai No Tav) e di molte altre.

In quest'ottica, anche l'atteggiamento delle forze dell'ordine trova la sua giustificazione: se il movimento può rafforzare il governo, non stupisce la posizione non ostile del ministro dell'interno Alfano, che sul rafforzamento – e dunque sulla durata – del governo sta giocando l'intera carriera politica.

Ultima modifica ilVenerdì, 13 Dicembre 2013 13:23
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