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Quaderni corsari: introduzione al terzo numero

Quaderni corsari: introduzione al terzo numero

«Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio». Così recita la celebre frase de L’Odio, il film di Mathieu Kassovitz sulle banlieues parigine. Ci è ignoto a che punto della caduta siano le nostre vite, la nostra società, ma di certo, nell’epoca del post-tutto, alla sensazione di essere «bloccati in un’eterna transizione» – di cui scriveva Vittorio Foa – si è unita quella della caduta perpetua, si precipita così a lungo da scordarsi che a un certo punto arriva il contatto con il suolo, e che fa male.

Precipitiamo, tra le macerie, sulle macerie, senza avere gli strumenti adeguati per reggere l’impatto.

Assistiamo a un cambio d’epoca (che è cosa ben più drastica di un cambiamento epocale), confrontandoci con la forza del processo storico e con la rapidità con cui il capitalismo senza attrito ne determina la direzione. Subiamo singolarmente e collettivamente gli effetti della crisi, che altro non è che una trasformazione dell’economia globale finalizzata a perpetuare con maggior vigore il costante saccheggio delle risorse pubbliche, dei beni comuni, in un enorme trasferimento di risorse dal basso verso l’alto.

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Storicamente, chi sta in basso ha sempre reagito in un modo: organizzandosi. Il privilegio si può difendere in solitudine, mentre il cambiamento ha bisogno di strumenti che diano forma, respiro e forza alla collettività. L’azione collettiva, dalle forme più fluide a quelle più strutturate, è stata lo strumento di qualsiasi processo di emancipazione. Chiaramente in tutto ciò non c’è nulla di lineare, e la critica della delega, della gerarchia e della burocratizzazione fa strutturalmente parte del percorso della sinistra. Ma l’indebolimento, in generale, di tutti i meccanismi di organizzazione collettiva, è un problema che riguarda tutti.

La tensione che vive l’Europa, tra la logica dell’austerity e quella del populismo, entrambe ben lontane dai meccanismi della partecipazione democratica, è riprodotta in maniera ancora più accentuata in Italia, dove partiti sempre più deboli si consegnano allo stato d’eccezione permanente del Quirinale e delle istituzioni UE, mentre a contendersi il consenso dell’opposizione stanno i populismi di Grillo e Berlusconi. Ad oggi esiste potenzialmente uno spazio politico per chi ambisce a un cambiamento della società in direzione egualitaria, radicalmente democratica, e per una politica che non neghi il conflitto capitale-lavoro e si schieri dalla parte degli ultimi. Tuttavia, questo spazio, di cui c’è estremo bisogno, è oggi schiacciato: di fronte a politiche tecnocratiche elitarie e conservatrici, i popoli si trovano in mano solo l’arma spuntata dell’urlo demagogico, espulsi dalla storia, ridotti a mero strumento o nemico indifeso dell’azione politica e amministrativa.

Mai abbiamo avuto tra le mani arnesi così inservibili. Da un lato ci misuriamo con parole che se pronunciate ci si ritorcono contro: politica, sinistra… parole nobili e dense che si sono infrante contro la realtà, svuotate dal disuso o dal cattivo uso. Ci imbattiamo in parole svuotate dall’inflazione come cambiamento, e in altre sgretolate dai fatti, come democrazia. Serve mettere in campo un lavoro profondo per riscrivere un nuovo lessico, e assumere la consapevolezza che non si tratta di un problema di strategie di comunicazione. La costruzione di una nuova grammatica culturale è oggi imprescindibile per la costruzione di nuove identità e processi collettivi, per ogni percorso di conflitto.

Se la caduta ci spinge in basso serve organizzarsi, ricostruire spazi di pensiero e azione collettiva e di parte. Serve farlo, ma non per risalire, costruendo nuove piramidi umane in cui si salvi solo chi si trova in cima; serve, invece, organizzarsi per abitare il basso. Non è questo un invito alla rassegnazione, o alla costruzione di spazi residuali di resistenza, di rassegnazione all’esistente. Si tratta invece di definire nuove prospettive sul terreno della soggettivazione, dell’organizzazione politica e della partecipazione democratica, che consentano di ripartire dal basso, non solo dal punto di vista classico con cui viene usata tale espressione in riferimento al metodo, ma intendendo il basso come il luogo di insediamento sociale, tra gli ultimi, tra gli oppressi, come terreno di azione politica.

Noi ripartiamo consapevoli del fatto che la crisi della politica, della rappresentanza, dell’organizzazione, ci coinvolge, come coinvolge tutti coloro che non si rassegnano a chiamare democrazia un “mi piace” su Facebook, ma consapevoli anche del fatto che non coinvolge tutti allo stesso modo. Se negli ultimi vent’anni abbiamo assistito a una progressiva desertificazione dei luoghi di partecipazione collettiva in Italia, noi sentiamo l’orgoglio e la responsabilità di essere stati tra quelli che hanno testardamente provato e riprovato a praticare un’alternativa.

L’esperienza del sindacato studentesco, come quelle di tanti altri movimenti e associazioni che hanno animato la società italiana negli ultimi due decenni, dal movimento antimafia ai social forum, fino ai 27 milioni di sì per l’acqua bene comune, è stata e continua a essere una faticosa ma preziosa eccezione, uno spazio libero e organizzato di impegno quotidiano per il cambiamento. Pensare che un modo diverso di fare politica sia possibile, per noi, non è un’illusione utopistica, ma una memoria recente, un’esperienza vissuta, una certezza da continuare a sperimentare.

È da questo punto di vista che ci prendiamo la responsabilità, nel piccolo del nostro agile vascello corsaro, di provare ad aprire un dibattito, di porre a chi ci sta intorno una serie di domande.

C’è ancora spazio, senso e utilità per la democrazia organizzata? Che forme assume in questo contesto la rappresentanza politica e sociale? Esistono modelli e pratiche alternative a disposizione di partiti a sindacati? Quali forme nuove di soggettivazione e organizzazione possono aiutare la sinistra e, più in generale, chi lotta per il cambiamento, a essere all’altezza della sfida? Come può la difesa della Costituzione essere un rilancio programmatico e non una battaglia di retroguardia? In che modo il web e i social media rimodellano le pratiche dell’azione collettiva?

L’obiettivo di questo terzo numero dei Quaderni Corsari è problematizzare queste questioni per aprire un dibattito all’interno dei movimenti e dei soggetti sociali e politici organizzati, nell’ottica di una riflessione collettiva che possa dare respiro alle nostre pratiche quotidiane.

Iniziamo riprendendo uno spunto di qualche anno fa di Pino Ferraris, che a partire dalla ricostruzione dell’esperienza storica del Partito Operaio belga provava a mettere in discussione la forma partito così come l’abbiamo conosciuto nel ‘900, e a ipotizzare modi diversi, non gerarchici ma federali e cooperativi, per mettere in relazione il politico e il sociale. Passiamo poi, con Mariano Di Palma, a riflettere sul soggetto dell’azione collettiva e sulle difficoltà e le opportunità della costruzione di identità inclusive e mobilitanti in un mondo sempre più complesso e frammentato. Lorenzo Zamponi sintetizza brevemente lo stato dell’arte della forma-partito oggi, ricostruendo l’itinerario della Seconda Repubblica e il dibattito di questi anni.

Il Quaderni prosegue con un dialogo sull’altro grande strumento di organizzazione e partecipazione collettiva che abbiamo ereditato dal ‘900: il sindacato. Insieme a tre giovani attivisti impegnati nella rappresentanza sociale dei lavoratori, andiamo in cerca dei nodi problematici della crisi e delle esperienze già in atto per tentare di superarla.

La parte successiva è dedicata al rapporto tra partecipazione e rappresentanza, tra innovazione e durata, con tre articoli che partono da tre punti di vista diversi ma convergenti: Rocco Albanese inquadra lo stato della democrazia e della partecipazione nell’Italia di oggi, Giuseppe Beccia riporta alcune buone pratiche di democrazia partecipata a livello territoriale e Alessandra Quarta prova a liberare il dibattito sulla Costituzione dalla strumentale dicotomia tra “conservatori” e “innovatori”, identificando i nodi attraverso i quali il testo costituzionale può diventare uno strumento di cambiamento.

La terza parte è dedicata, infine, al rapporto tra nuove tecnologie e partecipazione politica: iniziamo con una riflessione di Claudio Riccio sulle opportunità e i rischi legati all’uso dei social media in politica, per poi dialogare con due esperti come Paolo Gerbaudo ed Eugenio Iorio, con l’obiettivo di uscire dallo schematismo tra “apocalittici e integrati” e identificare alcune strade da percorrere. 

La struttura di questo terzo numero dei Quaderni Corsari rende evidente l’idea che ci ha animato: non una trattazione esaustiva e densa di analisi e conclusioni, come magari è avvenuto in altre occasioni, ma una serie di spunti critici e provocatori, a partire in particolare dalle esperienze di militanza di noi corsari e corsare, con l’obiettivo di stimolare nei prossimi mesi il dibattito dei mondi che viviamo, e con la presunzione di far fare a questi mondi qualche piccolo passo in avanti.

Ultima modifica ilGiovedì, 23 Gennaio 2014 10:14
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