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Valori (per gli) occidentali?

Valori (per gli) occidentali?

In molti, dopo l'attentato contro Charlie Hebdo, invocano una mobilitazione in difesa dei valori occidentali, ovvero di un insieme di norme e princìpi a fondamento della nostra democrazia. A simili posizioni ha risposto, sul sito della rivista Limes, Giovanni Fontana, sottolineando che «Dire che princìpi che si definiscono inviolabili e che l'intera umanità ha maturato molto lentamente [...] sono occidentali è un modo per toglier loro valore, non per darglielo». Tuttavia si potrebbe ribattere che, effettivamente, tra valori occidentali e universali, vi è coincidenza, che sono proprio quelli emersi nel Vecchio Continente e nell'America del Nord a dover essere rivendicati dai popoli di tutto il mondo. Ma esattamente di cosa si tratta? Davvero esiste un insieme di princìpi dottrinari riguardanti la vita e la libertà comuni a tutti i Paesi europei e nordamericani? Oppure si tratta di un artificio retorico che nasconde un etnocentrismo esaltato? Proveremo a rispondere a questa domanda utilizzando il metodo comparativo, sulla scorta di quanto fatto in simili occasioni da intellettuali di scuole diverse, come Noam Chomsky e Domenico Losurdo.

Il punto di partenza per una simile analisi è che non esiste solo una democrazia interna, ma anche una esterna, propria delle relazioni internazionali, che influenza profondamente la prima. In mancanza della seconda, ecco che la prima soffre pesanti contraccolpi: l'enorme disparità di mezzi militari, economici e massmediatici tra Paesi può diventare insostenibile determinando strette autoritarie in Paesi più deboli e guerre nei confronti di quest'ultime.

Le Quattro Libertà

È del 1941 il discorso di F.D. Roosvelt in cui egli affermò l'esistenza di quattro libertà: d'espressione; di culto; dal bisogno; dalla paura. Domenico Losurdo, all’apice del suo ultimo lavoro, La sinistra assente, dedicato alla «costruzione dell'universalismo imperiale», sottolinea tutte le contraddizioni del mondo capitalista nella tutela di tali principi.  

Prendiamo ad esempio la prima delle quattro libertà nominate e mettiamola a confronto con quanto abbiamo visto accadere negli ultimi anni negli Stati Uniti, Paese definito da molti come il più sensibile verso la libertà d’espressione. Ebbene, non si capisce cosa essa abbia a che fare con la persecuzione di Julian Assange, Edward Snowden e Bradley Manning, colpevoli di aver svelato piani di controllo globale da parte della più grande potenza mondiale. E proprio questo controllo, pervasivo e totale sulle nostre vite, meriterebbe qualche riflessione. Siamo cresciuti con l'immagine dell'URSS e della DDR come regimi kafkiani, dove ogni attimo della propria vita era controllato dallo Stato. Eppure, cosa hanno di diverso le nostre esistenze se la mail che usiamo ogni giorno sono di fatto come un libro aperto per tutte le agenzia di sicurezza del mondo e le nostre password ridicole coperture di riservatezza?

Questi argomenti vanno inseriti nella più generale critica alla retorica della libertà individuale, tanto rivendicata nel mondo capitalista – soprattutto in avversione all'altra libertà, quella «dal bisogno», e dunque  allo stato sociale. Anche in questo caso un confronto tra immaginario e realtà può essere utile. Quanti di noi sanno che il 25% della popolazione carceraria mondiale si trova negli Stati Uniti – ovvero il 5% della propria popolazione? Eppure la narrativa corrente lascia pensare che siano Cina e Russia in testa a tali classifiche, mentre, a conti fatti, questi due Paesi hanno un tasso di carcerati sulla popolazione rispettivamente di 118 e 615 persone, ben al di sotto delle 737 degli USA.

Non entriamo poi nell’argomento Guantánamo, una prigione illegale a cielo aperto dove vengono quotidianamente torturati prigionieri nei modi peggiori e che da sola basterebbe a smontare il castello della retorica occidentalista.

Si potrebbe ribattere che questi sono i limiti propri di una democrazia non perfetta ma di certo migliore di Paesi privi di pluralismo politico e di libertà d'espressione. Effettivamente vi è maggiore libertà d’espressione in Europa occidentale che, ad esempio, nel Medio Oriente, ancorché andrebbe aggiunto che essa è oggi sotto attacco delle oligarchie. La libertà d’espressione di cui godiamo, non scordiamolo, ha un’origine storica: è frutto in primo luogo delle lotte dei popoli europei che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, raggiunsero un livello di democrazia senza precedenti forzando la classe capitalista a scendere a compromessi, anche per via dell’assenza di attacchi esteri di qualsiasi tipo nel mezzo Secolo di pace europea.

Un confronto accurato con altri modelli statali andrebbe fatto,  quindi, prestando attenzione anche alla quarta libertà citata, quella «dalla paura», che assieme alla libertà «dal bisogno» risulta del tutto dimenticata dalle ONG impegnate nel rispetto dei diritti umani. Prendiamo il caso di Cuba, accusata di limitare la libertà d’espressione ai suoi cittadini. Questo piccolo Paese sottosviluppato vive a poche miglia dal territorio del suo più acerrimo nemico, quegli USA che rappresentano la più grande potenza militare, economica e massmediatica del Mondo. Esso continua ad essere sottoposto a un embargo che ha causato conseguenze spaventose per il suo popolo e per la sua economia, nonostante il fatto che ogni anno l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite voti per la sua cancellazione.

Atti di terrorismo contro tale Paese ve ne sono stati a dozzine. Nonostante ciò, Cuba si concentra nella tutela della libertà dal bisogno, continuando a garantire ai suoi cittadini una sanità e un’istruzione degne di nome. Discorsi simili potrebbero essere fatti anche per Paesi assolutamente criticabili per la propria politica interna come Cina e Iran, ma anche in questi casi andrebbe sempre ricordato che essi vivono sottoposti a una pressione militare da parte degli USA fortissima che solamente li porta a militarizzarsi e rafforzare il proprio carattere autoritario. Come si può pensare che Paesi sottosviluppati, che lottano per uscire del tutto dalla dipendenza economica, possano garantire una tutela della libertà d’espressione come quella scandinava se sono sottoposti a una incessante guerra economica, massmediatica e anche militare? Basterebbe una bomba, una sola, agli Stati Uniti – che, negli ultimi anni, hanno spostato il proprio “pivot” nel Pacifico– per infliggere alla Cina e ai suoi miliardi di abitanti un colpo mortale. La narrazione dei massmedia, con la sua incuranza delle differenze tra i diversi contesti politici e geografici, è complice di una visione manichea dei diritti umani.

E infatti, per quanto possa sembrare provocatorio, Domenico Losurdo si chiede se non sia la propria posizione geografica ad assicurare una protezione enorme da attacchi esterni a garantire agli Stati Uniti una maggiore tutela del governo della legge. Pensiamoci: l’Iran (1953), il Guatemala (1954), il Cile (1973) e il Venezuela (2002) erano tutti Paesi democratici quando si sono scatenati colpi di stato oligarchici che hanno abbattuto i propri governi anticoloniali o hanno provato a farlo. E ancora: davvero gli USA nel 2003 e la Francia nel 2011 avrebbero attaccato Iraq e Libia rispettivamente, se esse avessero posseduto armi atomiche? Non è proprio questo deterrente che protegge la Corea del Nord? Ingenuo pensare che i governanti di Cina, Cuba, Iran e la stessa Corea non si pongano le stesse domande, soprattutto a fronte di embarghi, uccisioni di scenziati, kill-list emanate dal Presidente statunitense e movimenti di truppe ai propri confini.

Diritti umani e colonialismo

Dopo l’11 settembre 2001 i mondi arabo e mussulmano hanno vissuto 15 anni di umiliazioni. L’occupazione dell’Afghanistan ha lasciato un Paese a pezzi. L’Iraq laico di Saddam, estraneo al terrorismo qaedista, è stato distrutto, e lo stesso si è fatto con la Siria autoritaria, ma non islamista, di Assad. Il frutto di questa battaglia di «volenterosi» per la democrazia è stata quello di dare spazio all’estremismo islamista più estremo e infame, nonché di causare la morte di centinaia di migliaia di persone. La Libia poi, devastata dal bombardamento anglo-francese, è oggi uno «Stato fallito», come quelli raccontati da Chomsky nei suoi lavori. Gli arabi hanno assistito alla devastazione di Gaza e della Palestina, realizzata da coloro che, come nella peggiore tradizione coloniale, applicavano un «doppio standard» agli abitanti del Paese occupato: democrazia per i colonizzatori, oppressione per i colonizzati, quest'ultimi ovviamente accusati di «terrorismo». Si fa un gioco scorretto, pertanto, a chiedere da dove venga la rabbia, a rimanere stupiti dell’odio più violento piombato in casa propria per poi a ricominciare con l’invocazione della «guerra santa». Un nuovo Patriot Act è all’orizzonte, questa volta europeo, pronto a dare l’ennesimo colpo alla retorica della libertà individuale occidentale.

Sarebbe forse più equo interrogarci sul senso, il ruolo ed il motivo delle negazioni delle libertà da noi rivendicate nei Paesi che non appartengono a quel mondo occidentale così retoricamente in questi giorni esaltato. Cercare di capire chi impedisce la diffusione di queste libertà oltre il mare.

La storia delle relazioni internazionali dell’Europa occidentale, degli USA e dell’Australia è una storia di colonialismo e neocolonialismo. La storiografia attuale e la filosofia politica continuano ad analizzare la democrazia prescindendo dai rapporti tra Paesi, come se la costruzione di quella democrazia interna fosse possibile in una situazione di militarizzazione e di panico nucleare. I capitoli sull’olocausto congolese (almeno 9 milioni di morti causati dall’occupazione belga) o lo sterminio degli Herero da parte dei tedeschi (per non parlare delle responsabilità italiane verso l’Etiopia) sono relegati nei libri di storia come fatti secondari. La fine del colonialismo formale, poi, ha contribuito a ignorare l’esistenza di un controllo non meno diretto e spietato tra Paesi.

Diritti di chi?

Dopo la caduta del blocco socialista si è diffusa una nuova narrazione dei diritti umani accolta pienamente dalle ONG, del tutto disinteressate ai diritti sociali e alla democrazia internazionale, nonché purtroppo da una parte della sinistra.

Per evitare che ad ogni attentato riemerga la stessa pedante narrativa, se proprio non si vuole ripartire da Lenin, basterebbe studiare Roosvelt e il suo discorso sulle quattro libertà, forse uno dei punti più alti del liberalismo sociale, attento ai diritti politici come quelli economici e internazionali, e non a caso accusato da Hayek di essere pesantemente influenzato dal marxismo sovietico.

Bisognerebbe, in generale, avere memoria e ricordare che chi da secoli ha il fucile puntato contro il mondo arabo e, in generale, non occidentale, è proprio l’Occidente. Senza tale coscienza ci aspettano anni di ulteriore retorica occidentalista e nuove guerre sante.

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