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Lavoro: la propaganda è servita, i dati no.

Lavoro: la propaganda è servita, i dati no.

Avviso alla cittadinanza: non è la prima volta che gli annunci di Renzi e i dati sbandierati dai suoi ministri vengono smentiti. Visti i precedenti sarebbe meglio aspettare nella valutazione dei dati presentati da Poletti e rilanciati in pompa magna dal PD.
Spesso, infatti, preferendo l’illusionismo all’ aritmetica, “dimenticano” di sottrarre i posti di lavoro distrutti ai nuovi rapporti di lavoro. Infatti, perché si possa parlare di nuovi posti di lavoro è necessario che la differenza tra le attivazioni e le cessazioni sia positiva; purtroppo i dati ufficiali del ministero saranno resi pubblici solo il 7 giugno quando ormai il governo avrà avuto settimane di titoli e trasmissioni televisive in cui far passare come inconfutabile verità la propria propaganda: prima di allora non sarà possibile verificare se i contratti di cui parla Poletti sono nuovi posti di lavoro o soltanto delle trasformazioni di tipologia contrattuale.

Il Ministero non soltanto non pubblica i dati di cui parla, ma non comunica neppure qual è la variazione dei contratti di apprendistato (contratto che a causa del decreto Poletti rimane il il più conveniente per le imprese e su cui sono stati allentati i vincoli alla stabilizzazione degli apprendisti prima di nuove assunzioni di questo tipo e ridotta la retribuzione delle ore di formazione).

Infine è utile ricordare che gli sgravi alle imprese, entrati in vigore il primo gennaio del 2015, hanno permesso alle imprese di aumentare i propri margini di profitto svincolandoli dalla produzione grazie proprio a questo giochetto tra diverse tipologie contrattuali, tutte precarie nonostante il tempo indeterminato dei contratti stipulati entro febbraio goda ancora delle tutele del vecchio statuto dei lavoratori (l’era pre JobsAct). In ogni caso, gli sgravi rappresentano un vero e proprio regalo alle imprese che guadagnano senza essere vincolate né a nuova e buona occupazione né a nuovi investimenti.
Per i dati relativi al mese di marzo, cioè quelli successivi all'entrata in vigore del contratto a tutele crescenti è importante ricordare non solo quanto già detto, ma soprattutto cosa è cambiato con il jobs act. Se prima il passaggio al contratto a tempo indeterminato era sinonimo di stabilizzazione, di garanzie e tutele, oggi non è più così. Il nuovo contratto a tempo indeterminato, infatti, è un contratto a tutti gli effetti precario perché sono state cancellate le tutele dei lavoratori, come la possibilità di reintegra in caso di licenziamento illegittimo. È stato colpito l'intero impianto del diritto del lavoro, con l'introduzione di un regime "speciale" sul licenziamento che assegna all'impresa piena autonomia nella scelta di quando e come interrompere il rapporto di lavoro a fronte di un risarcimento temporaneo.

Tra l’altro, gli indennizzi da corrispondere ai lavoratori (di importo inferiore rispetto alla già ignobile riforma Fornero) potranno essere inferiori rispetto all'ammontare degli sgravi contributivi concessi dal legislatore ai datori di lavoro. Le aziende potranno quindi contare su un regime che da un lato le solleva da qualsiasi rischio imprenditoriale (non saranno più obbligate ad investire per vendere prodotti nuovi e/o migliori) e dall’altro cancella dalla costituzione materiale ogni riferimento alla responsabilità sociale d’impresa (il regime del licenziamento scioglie qualsiasi nesso tra impresa e diritto, tra individuo e collettività).

Mediaticamente le dichiarazioni del ministro e di parte del governo appaiono piuttosto strumentali per sminuire l’importanza della manifestazione indetta dalla Fiom per il prossimo sabato, manifestazione a cui convintamente parteciperemo per denunciare i provvedimenti del governo ma soprattutto per ribadire un’altra idea di società che rimetta al centro i diritti delle persone a partire dal lavoro, dal welfare e da una non mai avviata riforma volta a maggiore redistribuzione e giustizia sociale.

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