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Dieci lezioni politiche dal referendum greco

Dieci lezioni politiche dal referendum greco
  1. Non è vero che “non c’è alternativa”. Altro che “fine della storia”. Uomini e donne, insieme, organizzandosi, e sfidando la sorte con coraggio, possono cambiare il corso degli avvenimenti.

  2. Questa Europa non è semplicemente priva di democrazia, ma soprattutto è contro la democrazia. Istituzioni non democratiche combattono contro la possibilità dei cittadini di esprimere la propria posizione. L’Unione Europea di Maastricht e del patto di stabilità è una gabbia che mira ad arginare la già flebile sovranità popolare e aumentare le diseguaglianze. È possibile portare il conflitto all'interno di queste istituzioni che, nate storte, hanno dimostrato di essere istituzioni di parte, attente agli interessi di pochi, strumento di lotta di classe dall’alto. È possibile scontrarsi, ma l'esito di tale battaglia è incerto e gli spazi di manovra ristretti. Di certo non bisogna lasciare da sola la Grecia ora, bisogna rilanciare  la mobilitazione europea.

  3. Bisogna riconquistare la democrazia. La democrazia non esiste a prescindere e di certo non esiste in questa Europa, unione di burocrazie senza popoli e sopra i popoli. Non è un dato formale. La democrazia è ciò che accade quando chi è escluso dalle decisioni irrompe collettivamente e inaspettatamente sulla scena pubblica. Può avvenire sul terreno del conflitto o su quello elettorale, meglio se su entrambi.

  4. Viene smentito chi diceva che “le elezioni non possono cambiare nulla”;  il referendum greco dimostra quanto sia errata l'affermazione “non c’è spazio per l’alternativa dentro il terreno istituzionale”. Anche in un paese piccolo e sotto la pressione della finanza internazionale è possibile una sinistra di cambiamento. Il punto non è l’agibilità strutturale del terreno elettorale, ma come dai battaglia in quel campo: se prendi il potere con manovre di palazzo o sulla spinta delle piazze e in sintonia con i movimenti. Anche le istituzioni possono essere terreno e strumento di conflitto.

  5. Da un lato ci sono le forze popolari, dall’altro lato chi conduce poltiche anti-popolari, contro il popolo, contro chi è sempre stato debole e chi si sta impoverendo nella crisi. La cesura è netta. Emergono con sempre più forza le sinistre di cambiamento, al contempo di governo e radicali, alternative tanto alle destre quanto alle cosiddette sinistre riformiste. Le sinistre riformiste sono morte, avendo da tempo la famiglia della socialdemocrazia aderito totalmente ai dogmi neoliberisti, essendo diventata destra. Il referendum greco è il funerale di quel progetto politico. Sono avversari.

  6. Il crollo delle condizioni materiali di vita non modifica il quadro del consenso elettorale, genera sfiducia, rassegnazione e rancore. Se in un contesto di crisi emerge un forte conflitto sociale, si affermano pratiche concrete di mutualismo e di iniziativa territoriale, si può cambiare radicalmente l’ordine del discorso e lo spazio politico. Lo spazio politico non esiste a prescindere, si crea e si trasforma, ed è frutto dei rapporti di forza e della strategia con cui si conduce la lotta politica

  7. Non esiste solo lo spazio politico, esiste anche il tempo politico, ovvero la finestra di opportunità in cui possono accadere cambiamenti profondi nella storia. Per le sinistre quella finestra è adesso. Non c’è una politica dei due tempi: “prima organizzo il conflitto, poi cerco risposte organizzate per rappresentarlo”, il processo orizzontale e la verticalizzazione che consegue alla nascita di un soggetto politico nuovo devono avvenire simultaneamente e nello stesso contesto e soprattutto in sintonia.

  8. La credibilità dei gruppi dirigenti, di chi ci mette la faccia, è determinante in qualunque votazione. In uno scontro che vede da un lato una nuova generazione politica e dall’altro “le solite facce” espressione dei precedenti governi nazionali o della tecnocrazia europea, è pressoché inevitabile una vittoria dei “nuovi”. Può anche non piacere, ma avere un leader fa la differenza, specialmente se i leader nascono dentro i processi collettivi, si mettono a disposizione di tutti, guidano, ma ascoltano; come accade in Grecia e Spagna, come ha fatto Varoufakis con le dimissioni.  La differenza è tra il “capo” di un progetto personale e il frontman capace di dare forza a un cammino comune.

  9. La priorità politica è il cambiamento radicale dell’intero continente e la costruzione di un nuovo modello sociale europeo. Il terreno dello scontro è europeo e non nazionale: siamo contro questa Europa, per costruire una nuova Europa giusta e solidale. Una lotta a tutto campo e una discussione che affronti con chiarezza i temi del debito e della politica monetaria non è rimandabile. Gli avversari sono la tecnocrazia e la finanza speculativa, ma anche i nazionalisti, i fascisti e la loro guerra tra poveri. Lasciare questo spazio aperto dal referendum greco alle destre e a un loro uso dell’appello al voto popolare sarebbe un gravissimo errore. Per questo serve anche dar vita a un unico movimento di alternativa al neoliberismo, in cui raccogliere le forze necessarie a questa battaglia politica transnazionale ed europea.

  10. La vittoria del NO porta entusiasmo, avanza di nuovo dopo tanto tempo l’ottimismo della volontà, ma il pessimismo della ragione continua ad avere solide basi: sono e restano tempi bui. Allacciate le cinture, non abbiamo nulla da perdere, ci tocca fare l’impossibile, contro tutti, ma con il popolo. Come in Grecia.

Ultima modifica ilMartedì, 07 Luglio 2015 12:12
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