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A sinistra, senza paura e senza spocchia: apriamo il dibattito

quarto stato pellizza da volpedo crisi sinistra sconfittaLa sconfitta profondamente politica delle sinistre, il boom del Movimento 5 Stelle, la sconfitta di Monti, l'incerto quadro politico. Sono molte le domande che ci poniamo. Abbiamo deciso di mettere a disposizione il Corsaro come spazio di discussione e confronto in cui condividere riflessioni e analisi. Inviate i vostri contributi a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., li pubblicheremo.

In queste ore ha prevalso lo sconforto. Se avevamo intuito il movimento, sicuramente non ne abbiamo colto l’entità, intrappolati dal dibattito forzosamente inchiodato alla “centralità” di Mario Monti. Abbiamo condiviso le riflessioni dei Wu Ming, prima, durante  e dopo  lo spoglio, e abbiamo analizzato per tempo anche qui le criticità di Grillo , del Movimento 5 Stelle e dei suoi programmi. Ma non crediamo sia questa l’ora del ve l’avevamo detto, né del cambiamo Paese. Non solo perché vogliamo ancora restare, ma perché il quadro, fosco, non è fosco da oggi, e non è forse peggiore di come appariva sabato.

È vero, non c’è una sinistra in campo. Ma c’era prima di sabato? Era sinistra l’appiattimento “obbligato” – e sembrava realpolitik! - di Sel sul PD, identificato dall’intero elettorato come «il nulla coalizzato per gestire nel grigiore un presente intollerabile»? Era sinistra il raggruppamento forzoso di Rivoluzione Civile, che ambiva a portare in parlamento una manciata di esponenti di partiti che non esistono più e altrettanti simboli di battaglie civili prestatisi, loro malgrado, alla causa?

Sabato andavamo a dormire con la “speranza” (sic!) che queste “forze” avrebbero “tirato a sinistra” un'inevitabile alleanza Monti-Bersani. Oggi si ironizza sulla nuova “invenzione” del sistema politico italiano: ma ieri ci rassegnavamo ad essere il primo popolo europeo a legittimare un tecnocrate. Oggi qualcuno dispera delle facoltà intellettuali degli italiani, ma ieri ci eravamo abituati all’idea che avrebbero votato il loro Papademos, sancendo la fine di ogni idea altra di Europa. All’estero ne ridono? Sarà una risata che li seppellirà, o che perlomeno minaccia di seppellire, per la prima volta in un Paese fondatore, la BCE, la Germania e il suo tentativo mercantilista. Oggi troviamo una stragrande maggioranza di voti che è – a un livello istintivo, certo  contro l'austerità, prima ancora che contro la Casta: l’analisi è unanime, da Krugman sul NYT, al Financial Times. Se accettiamo la sintesi di Giovanni De Mauro (“chi voleva cambiare ha votato Grillo, chi voleva tornare indietro ha votato Berlusconi, chi voleva lo status quo ha votato Bersani”), oltre due terzi degli elettori si sono espressi per l’abolizione (o la rimozione psichica) dello stato di cose presente.

E lo fanno con parole molto più simili alle nostre di quelle in voga fino a sabato, quando “responsabilità” era il mantra e “reddito” una proposta massimalista da cui smarcarsi. Certo, condividiamo la tesi che vede proprio in Grillo uno dei motivi per cui queste istanze non sono state incarnate da un movimento, da un occupy. Ma dobbiamo anche dirci che se ci han rubato le parole, talvolta “inquinate”, è tuttavia l’affermazione del M5S ad averle portate al centro di platee rispetto alle quali non avevamo saputo avere alcuna voce. Parole sulle quali non abbiamo saputo costruire egemonia da quasi un decennio sono ora al centro del dibattito, e siamo tra i pochi in grado di dargli contenuto e senso, soprattutto quando dovranno emergere le contraddizioni del M5S. È un risultato che ci mette di fronte alle nostre responsabilità: ci dimostra che con le nostre parole – reddito, beni comuni, no Tav, persino no Euro – è possibile vincere. E vincere non vuol dire ripetere l’8% “storico” di Rifondazione Comunista: vincere significa, potenzialmente, essere maggioritari nel Paese.

È un risultato che ci dice che è possibile parlare a tutti  dai delusi di Berlusconi ai nostri compagni d’università  nonostante Mediaset: se solo abbandoniamo certe nostre pedanterie e feticismi. Al contempo, è un risultato che ci libera di molti degli intralci che ci portavamo dietro, residuati bellici di guerre non nostre. La sfida è improba, e non è detto che troveremo i mezzi e i modi giusti per agirla. Ma è nostro dovere interrogarci ad alta voce – a partire da questo articolo, che vi invitiamo a commentare  sulle possibilità incredibilmente varie che ci si profilano all’orizzonte, e armarci dell’entusiasmo necessario a passare – finalmente!  a una fase di attacco, seppure corsaro. Non fosse altro che non abbiamo nulla da difendere, nulla da perdere, se non la nostra spocchia.

Ultima modifica ilLunedì, 21 Ottobre 2013 16:04
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