Podemos, un animale strano si aggira per l’Europa: intervista a Giacomo Russo Spena
- Scritto da Giacomo Gabbuti
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Finito di stampare a Novembre 2014, Podemos – La sinistra spagnola oltre la sinistra è l’ultima fatica dei giornalisti Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena. Recentemente andato in seconda ristampa, il libro segue di qualche mese un altro agile volume – Tsipras chi? – Il leader greco che vuole rifare l’Europa. Come il primo, anche questo libro è edito da Alegre, e presenta in modo accessibile, sintetico e coinvolgente la nascita e l’evoluzione di un movimento politico che ambisce a scompaginare la storia recente del proprio Paese, con conseguenze imprevedibili sui destini dell’intero continente.
Dopo i primi due capitoli in cui riassumono efficacemente quelle che possono essere definite come le “cause” della nascita e della base di consenso di Podemos – la crisi economica, nelle forme in cui si è abbattuta sulla Spagna a partire dal 2009, ed il movimento degli Indignados, che dal 2011 ha contestato il governo della crisi messo in atto dai tradizionali Partito Socialista Spagnolo (PSOE) e Partito Popolare (PP) – e un terzo più corposo dedicato specificamente a ricostruire l’ascesa di Podemos e del suo leader, Pablo Iglesias, i due autori si dedicano ad approfondire il retroterra ideologico e teorico del movimento, toccando il nodo molto “italiano” delle affinità e divergenze con il Movimento 5 Stelle.
Mentre lasciamo a voi l’utile e appassionante lettura del volume per saperne di più sul movimento che, alle prossime elezioni politiche spagnole – previste nell’autunno 2015 – potrebbe andare a sostenere la sfida europea del Governo Tsipras, vi proponiamo un’intervista a Giacomo Russo Spena, giornalista e curatore del sito di MicroMega, nella quale proviamo ad approfittarsi della sua esperienza sui casi greco e spagnolo per guardare sia all’esperienza di casa nostra, che più in generale ai possibili sviluppi della crisi europea.
In un’intervista su Dinamo Press, Íñigo Errejón, segretario per la strategia politica e la comunicazione di Podemos, dichiara che è la scala nazionale quella «politicamente più rilevante» per risolvere i problemi del proprio popolo. Da giornalista italiano che ha seguito “dall’esterno” la vicenda di Podemos – e prima quella di Syriza – condividi quest’affermazione? Quali lezioni dovrebbe trarne sui legami tra spazio europeo e nazionale chi vuole importare Syriza o Podemos in Italia?
Podemos si inspira ai modelli latinoamericani e considera la svolta a sinistra intrapresa dal Continente – “el giro a la izquierda del Sur America” – come un interessante laboratorio politico. Non a caso, i principali dirigenti di Podemos si sono formati nelle “corti” di Morales, Correa e Chavez partecipando alla stesura di Costituzioni avanzate in termini di giustizia sociale, diritti e buen vivir, mentre qui in Occidente le democrazie sono ostaggio della finanza e le nostre Carte costituzionali manomesse: ultimi casi, l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione – di fatto la condanna a morte del pensiero Keynesiano – e la recente riforma di stampo renziano.
Alla base del pensiero di Podemos c’è quel populismo latinoamericano che si rifà al filosofo argentino post-marxista Ernesto Laclau, il teorico del movimento degli Indignados e di Occupy Wall Street, il vate del 99% vs l’1, del basso vs l’alto. Così Iglesias & Co. utilizzano le parole “popolo” e “sovranità” dandogli un’accezione diversa da quella di stampo europeo. Se da noi sono termini legati a fenomeni nazionalisti e xenofobi, in America Latina assumono concezioni progressiste e frutto di un ragionamento anti-austerity. La battaglia per la sovranità di Podemos è legata a quella di “ya basta”, e significa riappropriarsi di una democrazia che è rimasta, dalla caduta di Franco in poi, sempre nelle ferree mani di un bipolarismo screditato, corrotto e responsabili della crisi; significa maggiori diritti e redistribuzione di ricchezze, per contrastare le politiche di austerity dettate dalla Troika e supinamente accettate da PP e PSOE, i due tradizionali partiti Popolare e Socialista rispettivamente; significa contrastare lo strapotere della finanza e il partito di Wall Street. In Grecia la partita dell’Europa è maggiormente sentita visto che è Bruxelles ad aver utilizzato come cavia il Paese ellenico, portandolo con i suoi memorandum alla attuale tragedia umanitaria. Il voto ad Atene del 25 gennaio era un referendum: Troika sì, Troika no. Ha vinto il cambiamento e la speranza incarnata da Syriza. Lì il tema è europeo, tanto che l’alleanza Anel si deve leggere anche – non solo – in tale chiave. Noto però che ultimamente in Grecia si inizi a parlare di dignità e orgoglio nazionale. All’ultima manifestazione spontanea contro la Bce c’erano poche bandiere di Syriza e moltissime della Grecia. Si urlava “non moriremo colonia di nessuno”. E poi alcune aperture sull’America Latina: Tsipras ha parlato dell’Ecuador di Correa come modello per la rinegoziazione del debito o di Morales come esempio di riscatto sociale di un Paese. Comunque in questa fase la battaglia è ovviamente europeista e si può vincere solo attraverso l’asse Syriza-Podemos e un forte protagonismo dei movimenti sociali. E Tsipras e Iglesias di questo sono ben consapevoli.
In questo senso, se rimane tutta da valutare la capacità di questi movimenti, una volta preso il potere, di ribaltare gli assetti continentali, è innegabile un impatto molto forte sul dibattito interno dei singoli Paesi europei. Tralasciando per un momento l’Italia, quali sono i Paesi in cui è più probabile che la sinistra sappia adeguarsi ai modelli vincenti costituiti da Syriza e Podemos? In altri termini: quale sarà il prossimo viaggio della premiata ditta Pucciarelli-Russo Spena? O pensate di occuparvi di opposti estremismi? Ogni riferimento a Le Pen è puramente casuale..
Ci appassiona lo studio dei modelli virtuosi per una nuova Europa. Quindi Marine Le Pen la escludo essendo in realtà l’altra faccia della medaglia delle politiche di austerity: non rappresenta una reale exit strategy dall’attuale “mostro” che hanno costruito la Troika con dietro la cancelliera Angela Merkel. Non so se faremo altri libri, ma ti voglio solo far notare un dato relativo ai cosiddetti Paesi “PIGS” – Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna. Questi Paesi periferici ed indebitati, a cui la Troika ha chiesto di compiere i “compiti a casa” accettando le varie riforme del rigore, dopo anni di “cura” hanno visto aumentare la disuguaglianza sociale, sancendo il fallimento dell’austerity. Ma soprattutto, questi Paesi hanno prodotto un’uscita da questa crisi a sinistra, o vedono comunque sinistre radicali in crescita. Un caso? Non credo. Ci dovrebbe essere anche l’Italia tra i PIGS, ma dal punto di vista delle risposte risulta chiaramente la grande assente.
In questo momento è facile accomunare i casi vincenti di Podemos e Syriza sotto il cappello di una “nuova sinistra sud europea”, in grado di contestare i dogmi dell’austerity e insieme la moderazione e subalternità culturale della socialdemocrazia continentale. I due stessi leader si cercano, mentre i militanti cantano: “Syriza, Podemos: venceremos!”. Eppure, come emerge bene dai vostri libri, sono due storie molto diverse, almeno nell’origine: Syriza ricorda molto la Rifondazione delle origini, capace di mettere assieme realtà diverse, movimenti e partito, mentre con Podemos, che pure viene dai movimenti, è difficile evitare il paragone con i 5 Stelle. C’è secondo te un comun denominatore tra queste due esperienze?
Sono chiaramente due esperienze diverse, soprattutto nell’organizzazione della forma partito e nei modi di fare politica. Però, facendone uno studio comparato, emergono numerosi elementi comuni. Per entrambe le forze, in primo luogo, risulta fondamentale il ruolo coi movimenti sociali, con i quali giungono spesso a vere e proprie contaminazioni. In questo senso, entrambi sono lontani anni luce dai fenomeni di cooptazione o sussunzione di stampo nostrano. Altro elemento che le unisce e assieme le distingue dalla sinistra italiana è sicuramente l’ambizione: sia Syriza che Podemos sono nate per vincere e andare al governo, per rappresentare la maggioranza sociale del Paese. Non mirano di certo a prendere il 10%, per poter poi condizionare il centrosinistra. Anche il tipo di elettorato che hanno saputo conquistarsi è un segnale di somiglianza, visto che entrambe le formazioni sono riuscite ad ottenere consenso in quel ceto medio impoverito dalla crisi e abbandonato dalle “classi borghesi”. Infine, il punto più lampante: i programmi sono identici e al Parlamento Europeo siedono entrambe tra i banchi del GUE conducendo battaglie comuni.
l libro precedente, nonostante prendesse nome dall’attuale Primo Ministro greco, raccontava un fenomeno collettivo, quasi ottocentesco, come Syriza: sotto il titolo Podemos, invece, si nascone un focus molto più marcato sul suo leader e “creatore”, Pablo Iglesias. Sarà il marketing, sarà la maggiore simpatia per il primo, ma qual è stato il ruolo del leader nella costruzione di un’alternativa in Grecia e in Spagna? C’è un legame, una “legge empirica” sul rapporto tra leadership e costruzione dell’alternativa?
È evidente che i processi politici debbano essere collettivi e rizomatici. Ma nella società della comunicazione e del marketing, per prendere voti serve anche un frontman: Tsipras e Iglesias lo sono. Syriza rappresenta un caso più “classico” di processo democratico: Tsipras ha intrapreso l’intero iter partendo dalle giovanili del partito, fino a diventare segretario nel 2008. Ad eleggerlo è stato un organismo come la direzione nazionale: a lui va il merito di aver saputo innovare e rinnovare un partito già esistente. Podemos invece è la creatura di Pablo Iglesias. Alle scorse Europee la gente si recava ai seggi in Spagna chiedendo di votare il partito di “el coleta” (“il codino”, soprannome di Iglesias). Adesso, per fortuna, dopo il congresso c’è una gestione più collegiale all’interno di Podemos e il potere è maggiormente bilanciato. Diciamo che strategicamente, Podemos ha utilizzato la figura del suo leader, e la sua bravura comunicativa in televisione, per svilupparsi e farsi conoscere al grande pubblico. Ora si sta strutturando in maniera più orizzontale.
Il libro evidenzia bene le (poche) analogie e le (molte) differenze tra M5S e Podemos. Eppure rimane il dubbio che in fondo, la cosa che rende più digeribile Podemos sia il fatto di non trovarcelo sulla scheda elettorale qui da noi. Credi che – senza il M5S – sarebbe stato possibile per la sinistra “radicale” italiana (partiti come movimenti) applicare autonomamente la lezione di Laclau? Quanto si è rivelata “conservatrice” la nostra sinistra su questo tipo di linguaggio – la casta, i cittadini – comune a Grillo e Iglesias?
Tra le due esperienze descritte nei nostri libri, personalmente trovo più importante l’esperienza di Podemos: e invece, girando l’Italia tra dibattiti e presentazioni, mi rendo conto di quanta diffidenza ci sia nei confronti della creatura di Iglesias. Di certo Podemos rompe tabù e schemi e linguaggi novecenteschi, e facendolo si pone l’obiettivo di parlare soprattutto ad una nuova generazione senza futuro, prospettive e voce. Fare “come Syriza” da noi è quasi impossibile, perché chi se lo propone non coglie un aspetto: la crisi della rappresentanza che ha investito l’Italia ha coinvolto anche i partiti della sinistra radicale. E allora bisognerebbe piuttosto porsi l’obiettivo di far nascere qualcosa di nuovo, spiazzante, e soprattutto farlo con interpreti diversi. Per questo ritengo che Podemos sia più interessante. Certo, qui in Italia il M5S – rompendo il bipolarismo e rappresentando il voto di rottura, salvo poi prendere una direzione ben diversa da Podemos – ha “bruciato” in partenza chi volesse colmare quel vuoto. Ma ora, con la crisi del grillismo, e con lo spostamento del PD determinato dal renzismo e dal suo tentativo di “Partito della Nazione”, si sta creando un nuovo vuoto a sinistra: a mancare è una proposta politica credibile. E la soluzione non credo possa essere la fuoriuscita di Civati dal PD.
Nel descrivere il primo “congresso” di Podemos, e il rapporto non facile tra partecipazione “reale” e “virtuale” da parte dei militanti/cittadini via web, traspare quella tensione alla base delle critiche nostrane alla “webdemocracy” grillina. Fino a che punto, secondo te, l’utilizzo da parte di Podemos della rete è diverso da quello dei cinque stelle? Non si rischia anche in questo caso di rendere la rete uno strumento adatto a legittimare una leadership più che un vero terreno di democrazia reale?
Podemos è un animale strano. E come nel 2011 era avvenuto con gli Indignados, sta sperimentando forme di tecno-politica. All’utilizzo della Rete si alterna il calore umano delle assemblee. Un esempio è il loro ultimo congresso, durato più di due mesi, nei quali si sono alternate votazioni online a momenti di incontro collettivi, con delegati e rappresentati dei circoli: una forma di ibridazione tra il partito classico e l’uso della Rete. Tra l’altro, a differenza del M5S dove c’è gestione privatistica del blog, in Podemos è tutto più trasparente: una società esterna gestisce il forum e una seconda si occupa dei conteggi dei voti, in modo da evitare che ci siano monopoli nella gestione. Infine, tutti si possono iscrivere nel forum di Podemos e dopo cinque minuti votare: non c’è nessuno che controlla dall’alto.
Ultima domanda su M5S, lo giuro! In una recente presentazione con Di Battista, che nel libro intervistate, hai citato l’esempio del voto sul reato di clandestinità. In quell’occasione, dal blog Grillo dichiarò: «Se durante le elezioni politiche avessimo proposto l’abolizione del reato di clandestinità, presente in Paesi molto più civili del nostro, come la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, il M5S avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico». Possiamo dire che la differenza con Podemos è tutta qui – un populismo che insegue l’elettore medio, eletto a rappresentante della “Nazione”, contrapposto al populismo come creazione di egemonia su un progetto politico (e anche ideologico, di sinistra) con il quale cambiare la società?
Questa infelice frase di Grillo palesa le differenze tra il M5S e Podemos, che nel programma parla di ius soli e di diritti di cittadinanza per i migranti. Cambia la visione di società, così come è diverso il ruolo coi movimenti. Il M5S ha preso molti voti da quell’ambito, se pensiamo ai No Tav in Val Susa o al Forum per l’acqua pubblica, però li ha anche svuotati chiudendosi di fatto dentro il Palazzo. Il M5S, come dimostra anche la collocazione europea che si è scelto, è di fatto autoreferenziale e non ha una strategia di trasformazione della società, almeno non in senso progressista e di giustizia sociale. Ora, anzi, fa da tappo all’emersione di nuovi fenomeni a sinistra.
Podemos è figlio degli Indignados. Non è l’autorappresentazione delle acampadas, ma raccoglie quell’immenso desiderio di cambiamento, e lo inquadra in una strategia politica. A breve in Spagna si voterà per le municipali: Podemos ha deciso di non avere propri candidati ma di sostenere i rappresentati di Ganemos, una rete di movimenti e associazionismo vario. A Barcellona, per esempio sosteranno Ada Colau, la storica leader del movimento cittadino di lotta per la casa. L’avrebbe mai fatto il M5S?
Nonostante questa prolifica vena aperta con Tsipras chi?, mi pare evidente che sia tu che Matteo Pucciarelli sareste contenti di scrivere un libro su un movimento o un leader (o tutti e due..) di casa nostra. Chiudiamo allora con una profezia: tra quando uscirà? Dove state concentrando il microscopio per identificare i germi di una nuova sinistra anche in Italia?
Va bene, lo confesso: stiamo pensando già ad un prossimo libro che parlerà anche dell’Italia. Forti degli insegnamenti di Syriza, Podemos e – perché no – Sinn Fein, cercheremo di analizzare le cause del fallimento della sinistra nel nostro Paese, e soprattutto gli spiragli futuri. Come in Grecia e in Spagna, per avviare un nuovo percorso è indispensabile il ruolo dei movimenti sociali, e poi il rinnovamento del “politico”. Ci vogliono altri interpreti, non accomunabili ad esperienze come la Sinistra Arcobaleno o Lista Ingroia. Da giornalista, senza entrare nel merito, Vendola ad esempio verrà ricordato per sempre come il governatore che rideva al telefono con Archinà dell’Ilva di Taranto: la sua figura è oramai compromessa. La nuova proposta deve essere convincente e spiazzante – sempre se si vuole vincere: se invece ci si vuole accontentare del 4-5%, il discorso cambia… Tanti, troppi, votano M5S o PD o si astengono perché non credono più – dopo una serie di sconfitte elettorali e vicissitudini – negli attuali partiti della sinistra radicale. Poniamo fine alla diaspora, magari ripartendo da una coalizione sociale. La strada è segnata: dal basso, a sinistra.
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