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Francia: l'austerità in Europa, il cuore dello scontro politico fra i socialisti

Francia: l'austerità in Europa, il cuore dello scontro politico fra i socialisti

Mentre sotto l'Hotel de Ville di Parigi si festeggia il settantesimo anniversario della liberazione della Capitale dalla Wehrmacht, un uragano politico scuote l'ultima settimana d'agosto nella République. A seguito di un durissimo scontro sulla politica economica all'interno del governo, il primo ministro Manuel Valls ha consegnato le sue dimissioni al presidente Hollande, il quale gli ha conferito l'incarico di formare un nuovo governo. Martedì 26 agosto, al più tardi, l'Eliseo annuncerà la rinnovata composizione della compagine ministeriale.

Il cuore dello scontro interno, che vede per protagonisti l'ormai ex primo ministro e l'ormai ex ministro dell'economia Arnauld Montebourg, è la proposta economica della Francia in relazione al contesto europeo. Il dibattito è arrivato ad un tornante decisivo con le dimissioni presentate stamane, ma questo è l'ultimo atto di un confronto decisivo all'interno della “majorité presidentielle” uscita dalle elezioni politiche del 2012.

Un po' di storia

Manuel Valls, ministro dell'Interno fin da maggio 2012, era arrivato a marzo all'Hotel Matignon, sede del primo ministro, chiamato da Hollande a seguito della grave sconfitta subita dalle forze progressiste alle elezioni municipali. Il mandato conferito al nuovo governo era chiaro: “un gouvernement de combat”, un esecutivo di lotta. Il presidente socialista aveva conferito a Valls l'incarico di proseguire la sua linea di politica economica, declinando al meglio il “patto di responsabilità” fra Stato e imprese proposto all'inizio dell'anno: lo Stato decurtava 46 miliardi di imposte per le aziende ma otteneva un impegno del padronato in termini occupazionali. Per rafforzare la compagine ministeriale, che perdeva due ministri (Cécile Duflot e Pascal Cantin) appartenenti a Europe Ecologie – Les Verts, Valls sceglieva di conferire dicasteri rilevanti (l'Economia e l'Istruzione) a due esponenti socialisti spesso marchiati come “sinistra del partito”: Arnaul Montebourg e Benoit Hamon.

Da segnalare che, alle primarie socialiste del 2011 che avevano incoronato Hollande come candidato del partito della Rosa, Montebourg aveva riscosso il 17% dei suffragi al primo turno – 455mila voti: Hollande, arrivato in testa col 39%, otteneva poco più di un milione di voti. A queste primarie aveva preso parte anche Manuel Valls, riscuotendo 149 mila voti pari al 5,6% delle preferenze. Montebourg, cinquantaduenne della Nièvre, e Valls, coetaneo nato a Barcellona, erano già stati individuati come gli astri nascenti della dirigenza socialista. Il primo si era spinto fino dichiararsi “anticapitalista”, sostenitore delle forme di gestione diretta e partecipata delle risorse naturali, favorevole a sostenere il protezionismo laddove utile a difendere il “made in France” e i salari. Il secondo, dichiaratosi “blairiano”, collega i principi di merito, auto-realizzazione, responsabilità individuale nell'economia, rifiuto dell'assistenzialismo alla cultura politica della c.d. “deuxiéme gauche”, la sinistra antigerarchica e antistatalista che ha avuto il suo apice con Michel Rocard, primo ministro socialista nel 1988-1991.

 

I frondisti del PS e la questione economica

Già al momento del voto di fiducia all'Assemblea Nazionale, 41 deputati socialisti avevano espresso una serie di istanze al nascituro governo Valls. Tutte le loro istanze attenevano alla politica economica e all'occupazione: erano passate poche settimane dalla manifestazione del Front de Gauche (Parti de Gauche e comunisti) che, il 12 aprile, aveva portato quasi 100 mila dimostranti a Parigi. Erano i tempi della cavalcata elettorale del Front National, acuito anche dagli scandali che avrebbero portato alle dimissioni del presidente del principale partito del centrodestra, l'UMP.

I 41 deputati socialisti si erano uniti a colleghi ecologisti e comunisti in un appello, pubblicato all'inizio di giugno: “pour plus d'emplois et de justice sociale”, sottoscritto da 100 deputati delle sinistre. Indichiamo alcuni passaggi fondamentali di questo testo: la politica economica della Francia deve cerca l'efficacia, non deve aggravare le ineguaglianza. Nel momento in cui la crescita si è fermata nel primo trimestre 2014, la gran parte degli istituti statistici pronosticano un innalzamento della disoccupazione per i prossimi 18 mesi. [..] L'euro è troppo caro e la traiettoria di riduzione del decifit è troppo brutale. La questione della socializzazione dei debiti sovrani è una priorità: la riduzione della leva finanziaria dell'Europa non può porsi sul solo rigore finanziario, ma deve fondarsi sul sostegno monetario. [..] Oggi, la parte più ampia degli economisti stimano che la stagnazione dell'economia proviene anzi tutto da una insufficienza della domanda che dai problemi legati all'offerta. Il saldo è negativo e l'aumento della disoccupazione, nei mesi a venire, sarà ineluttabile”. Quali, dunque, le proposte alternative dei deputati socialisti? “Sostegno al potere d'acquisto delle famiglie con 16,5 miliardi (contro i 5 attualmente previsti) così come sta facendo Matteo Renzi in Italia [gli 80 euro, ndr] [..] un impegno annuale di 5 miliardi d'investimenti pubblici locali [..] la creazione di 150 mila impieghi assistiti e 150 mila contratti d'alternanza per 2 miliardi d'euro [..] la concentrazione del taglio delle imposte per le imprese su quelle che ne hanno realmente bisogno, permettendo di assicurarle integralmente attraverso la riassegnazione dei 18,5 miliardi necessari per il potere d'acquisto, l'investimento pubblico locale e l'impiego”.

Alla fine della primavera, inoltre, un collettivo di economisti noto come les économistes atterés aveva espresso il proprio disagio con un appello, poi ripreso da Benjamin Coriat (docente di economia all'Université Paris XIII) in una intervista a Libération il 13 luglio. Riprendendo le critiche poste da Montebourg alla politica economica di Hollande e Valls, Coriat così riassumeva la proposta del ministro: “Montebourg si posiziona sull'idea che bisogna riequilibrare la politica di budget dal lato della domanda. Nel concreto, anziché attribuire il 90% di taglio delle imposte alle imprese e il 10% alle famiglie, egli propone un dispositivo in tre terzi. Un terzo sarà dedicato alla riduzione del decifit pubblico, un terzo al taglio dei prelievi obbligatori sulle imprese e un terzo all'abbassamento della pressione fiscale delle famiglie al fine di migliorare il loro potere d'acquisto”. Il complessivo taglio delle imposte, comunque distribuito, ammonterebbe a 46 miliardi di euro. Secondo Coriat, ad ogni modo, la proposta di Montebourg resta nella direttrice politica del presidente francese, a suo dire fallimentare: “Una volta c'era il teorema del cancelliere tedesco Helmut Schmidt «i profitti di oggi sono gli investimenti di domani e gli impieghi del dopo domani». Ora abbiamo il teorema social-liberale Hollande-Montebourg: «i tagli delle imposte di oggi sono i profitti delle imprese di domani che sono gli investimenti del dopo domani». L'assunto per cui il taglio del costo del lavoro e delle imposte dovrebbero favorire l'impiego è ancora immutato. Questo governo fa controlli senza chiedere contropartite!” L'economista, pertanto, ritiene che “bisogna impegnarsi in un'altra politica dell'offerta che debba poggiarsi su elementi di rilancio programmatico, pilotati dallo Stato, in favore dell'ecologia e dell'energia. Bisogna avere il coraggio di parlare di keynesismo verde. L'idea di una carbon tax deve per esempio essere rimessa al centro delle preoccupazione. Bisogna anche costituire un fondo sovrano a partire dagli attivi delle partecipazioni dello Stato e della Cassa dei Depositi. Questo fondo sarà incaricato della reindustrializzazione. Se non ci sono investimenti pubblici nel settore dell'energia e dell'ecologia, non ci saranno investimenti privati. Solo lo Stato può creare un orizzonte d'investimento in favore della transizione ecologica”.

 

Soluzioni alternative!”

Bisogna dare priorità all'uscita dalla crisi e far passare in secondo piano la riduzione dogmatica del decifit, che ci conduce all'austerità e alla disoccupazione”. Con queste parole, domenica 24 agosto, Arnauld Montebourg contesta la linea economica del capo dello Stato. “La BCE deve cambiar passo e mettersi a fare ciò che fanno tutte le banche del mondo, specie nei Paesi che hanno bisogno di far ripartire la crescita per rimborsare il debito pubblico. [..] Non possiamo più lasciar fare. Se noi dobbiamo allinearci all'ortodossia più estremista della destra tedesca, questo significherà che, anche se i Francesi voteranno per la sinistra francese, in realtà staranno votando per l'applicazione del programma della destra tedesca. La Francia non ha la vocazione di allinearsi agli assiomi ideologici della destra tedesca [..] La società è esasperata. Bisogna ascoltarla, intenderla, rispondere alle sue domande. È tempo di reagire!”.

Parole che non sono sfuggite all'altro lato del Reno. “Quando è troppo è troppo! Montebourg non ha niente da fare che attaccare la politica di Hollande e del governo tedesco scrive la Frankfurter Allgemeine Zeitung, seguita da Die Welt: “Montebourg mette Hollande sotto pressione”.

Alcuni termini dell'intervista di Montebourg sono, tuttavia, assolutamente concilianti: il ministro dichiara che gli sforzi legati al taglio delle imposte, anche per le imprese, sono giusti, ma vanno orientati verso la crescita. Non si tratta di opporre una politica dell'offerta in favore delle imprese a una politica della domanda in favore delle famiglie. Si tratta di coniugarle. Non intendo mettere in questione i 50 miliardi di economie. Si tratta di usarli bene”. Da qui la richiesta di investire almeno 6 miliardi nel potere d'acquisto, trovando così una soluzione alla questione della domanda e dell'offerta. Montebourg riprende, inoltre, il proprio cavallo di battaglia, la démondialisation“un Paese che non produce è nelle mani dei Paesi che producono. I Cinesi ci renderanno i loro prossimi schiavi?” La risposta sta nell'applicazione del più antico slogan di un pezzo consistente della sinistra francese: la nazionalizzazione dei principali siti produttivi. Una soluzione che privilegia il “made in France” e che il ministro ha già adottato, per decreto, nel caso dell'industria Alstom.

 

La crisi di governo, con un bicchiere levato

Sempre domenica 24 agosto, Benoit Hamon, titolare del dicastero dell'Istruzione, ha raggiunto Arnauld Montebourg alla 42° festa della Rosa di Frangy-en-Bresse. Nella splendida cornice della Loira, i due esponenti socialisti hanno ribadito le proprie dichiarazioni, esprimendo sostegno reciproco e invocando l'attenzione dell'Eliseo. “Noi non siamo lontani dai frondisti” ha dichiarato Hamon, in riferimento all'appello firmato dai cento deputati delle sinistre.

François Hollande non ha accolto il dissenso dei ministri, espressione di una parte molto consistente della maggioranza, scegliendo di sostenere il primo ministro nel muro contro muro. Lunedì 25, alla mattina, l'Eliseo ha ricevuto le dimissioni di Valls. “Hanno passato il segno” sarebbe stata la dichiarazione del primo ministro, prontamente reincaricato allo scopo di formare un governo “in coerenza con gli orientamenti definiti per il nostro Paese”. La dichiarazione ha scatenato la crisi politica: Aurélie Filippetti, ministro della Cultura dal 2012, ha annunciato in una lettera a Le Monde la propria intenzione di non far parte della compagine ministeriale“L'alternativa non è fra essere leali e andarsene – scrive il ministro – ma la questione è: di quale lealtà si parla e perché investirsi di una responsabilità politica? Io scelgo, per parte mia, la lealtà alle mie idee. Non sarò dunque candidata ad un nuovo posto ministeriale”A esprimere solidarietà politica a Montebourg era stata anche la guardasigilli, Christiane Toubira, che tuttavia non si è ancora espressa pubblicamente sul rimpasto di governo. Valls ha provato a tenere nel suo prossimo esecutivo il ministro Hamon, che si è tuttavia rifiutato. “La mia permanenza sarebbe incoerente” ha dichiarato l'ex dirigente della giovanile socialista a FranceInter.

Mentre Marine Le Pen tornava a chiedere lo scioglimento dell'Assemblea Nazionale ed elezioni politiche straordinarie – fatto non così improbabile, ormai – Arnauld Montebourg abbandonava Bercy, la sede del dicastero economico. Citando l'uscita di scena di Cincinnato e sant'Agostino, il leader socialista dichiarava nella sera di lunedì 25 agosto di “riprendere la propria libertà”. L'ex ministro ha continuato ad attaccare l'ingiustizia insita alle politiche di austerità “produttrici di sofferenze inutili per la popolazione europea” e che “spingono l'Europa nell'inflazione e nella deflazione”, oltre al silenzio del presidente socialista e all'ostilità di Manuel Valls: “Ho inviato al capo dell'esecutivo note e lettere per convincerlo di abiurare questa politica. La mia lealtà verso i Francesi sta nel dire la gravità della situazione e tentare di porre politiche alternative. Conservo la fierezza di aver compiuto ciò”“Le politiche di riduzione del decifit non portano alla riduzione del decifit e sono, dunque, un'assurdità finanziaria [..] Si, esiste una strada diversa, un'altra scelta possibile per la Francia e l'Europa [..] Abbiamo il dovere, individuale e collettivo, di interrompere l'austerità”.

 

Epilogo?

Non basta cambiare cavallo” dichiara François Delapierre del Parti de Gauche, appena uscito dalla sua Scuola estiva di Grenoble con le dimissioni del presidente Jean-Luc Melenchon. Non è dal rimpasto che verrà una soluzione, ma dal popolo. Il Parti de Gauche esige un ritorno immediato alle urne”“Un terribile scacco” secondo Pierre Laurent, segretario dei comunisti. “Chiamo il Paese a convergere e a mobilitarsi, per la costruzione di un progetto politico alternativo della sinistra”.

Il secondo rimpasto di governo in quattro mesi rischia di costare carissimo alla Francia, così come la sua instabilità politica rischia di trasmettersi all'Europa. Come sottolinea Laurent Joffrin in un editoriale su Libération, il fatto che François Hollande si senta accerchiato dal riformista Montebourg rischia di precipitare la nazione in un cul-de-sac da cui è possibile uscirne o imponendo una durissima disciplina politica (reprimendo, così, il dissenso dei “frondisti”) con cui imporre a tutti i socialisti una proposta politica che ormai riprovano pubblicamente o andando a nuove elezioni, il cui risultato sarebbe, molto probabilmente, non solo la decimazione del gruppo parlamentare ma anche una montante bleu vague colorata dalle bandiere del Front National. La destra repubblicana, infatti, non ha ancora trovato un proprio leader e la direzione collegiale ad interim sta solo avvicinando lo scontro finale fra i probabili candidati della destra all'Eliseo: il sindaco di Bordeaux Alain Juppé, l'ex presidente Nicolas Sarkozy, l'ex premier François Fillon.

L'uragano politico può fermarsi con un cambio di rotta delle politiche di governo. Questo, al netto dei posizionamenti tattici in vista delle candidature all'Eliseo per il 2017, è il sunto della fronda interna, che prova a tener conto della situazione reale del Paese e dell'assenza dello changement, maintenant promesso da Hollande nel corso della campagna elettorale del 2012.

Se l'attuale scenario sociale ed economico della quinta potenza mondiale non dovesse cambiare i suoi tratti fondamentali, la stagnazione francese potrebbe provocare un'epocale – e gravissima, considerando il contesto europeo – “uscita” della crisi attraverso la destra populista.

Già Charles De Gaulle, in risposta al tentativo della Commissione degli anni Sessanta di allargare e politicizzare il campo d'azione della Comunità Europea, adottò per un certo tempo la c.d. “politica della sedia vuota” e mise in stallo l'intera costruzione del consesso continentale.

Sostituiamo al protagonista della Libération il programma del Front National e il volto di Marine Le Pen: d'Oltralpe potrebbe venire uno schiaffo durissimo ai settanta, lunghi e complessi, anni di integrazione europea.

 

Libération intervista Benjamin Coriat

L'appello dei 100 frondisti su Mediapart.fr

Le Monde intervista Arnauld Montebourg

Dossier sulle diverse politiche economiche di Montebourg e Hollande

La lettera di Aurélie Filippetti a Le Monde

L'ultima dichiarazion di Arnauld Montebourg

Laurent Joffrin su Libération

 

 

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