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L'Internazionale dell'umanesimo integrale? L'incontro mondiale dei movimenti popolari con il Papa

L'Internazionale dell'umanesimo integrale? L'incontro mondiale dei movimenti popolari con il Papa

L'Aula Paolo VI della Città del Vaticano è uno scenario che, dai tempi della sua edificazione, contiene le principali iniziative di massa che, oltre a Piazza San Pietro, sono ospitate dai 44 ettari della monarchia pontificia. Non esattamente il proscenio che ci si poteva immaginare per un incontro internazionale fra soggetti, cartoneros argentini, movimenti di campesinos colombiani, movimenti di precari e disoccupati. Per l'Italia hanno preso parte in forma ufficiale il centro sociale Leoncavallo, Libera - gruppo Abele, RiMaflow, l'esperienza di Mondeggi Bene Comune, Confcooperative. Oltre a José Pepe Muijca, ricordato dal Papa all'inizio del suo intervento, erano presenti in sala i vescovi di molte diocesi di provenienza di queste organizzazioni, sindaci come Renato Accorinti, una buona parte del gruppo dirigente della FIOM guidati da un raggiante Maurizio Landini. Gli occhi di chi proviene dal mondo associativo e di movimento che fra 2008 e 2011 hanno animato questo Paese hanno avuto modo di incrociare esponenti storici del sindacato studentesco o la Rete della Conoscenza. Che questi volti si radunassero sotto il bronzeo Cristo Risorto realizzato fra il 1970 e il 1975 da Pericle Fazzini, le cui braccia emergono da rami intrecciati e si dilatano sino a 20 metri di ampiezza, non è cosa da poco.

 

Sarebbe tuttavia offensivo limitare all'aspetto puramente emotivo tale evento. Allo stesso tempo, sarebbe poca cosa rinchiudere l'Encuentro Mundial alla dimensione retorica di un indefinibile cristianesimo sociale interessato a nuove relazioni con i soggetti che praticano istanze di cambiamento in tutto il mondo.

Mentre si svolge la Leopolda fiorentina, con tutto il suo portato di dissenso di piazza negato a colpi di manganello, Papa Francesco e il card. Peter Turkson hanno organizzato il terzo appuntamento mondiale dopo il meeting dell'ottobre 2014 tenutosi nell'Aula Vecchia del Sinodo. Dal 2014 ad oggi non c'è stato solo il secondo raduno internazionale, a Santa Cruz de la Sierra in Bolivia. C'è stato il Convegno Ecclesiastico della Chiesa italiana, conclusosi a Firenze col motto In Gesù Cristo il nuovo umanesimo, in cui era chiarissima la traccia guida emersa già nell'introduzione del comitato preparatore, curato dall'arcivescovo di Torino, Nosiglia: «L’orizzonte storico nel quale siamo entrati è oscurato da nubi minacciose. Siamo sfidati da un capitalismo meno liberale e più autoritario, dove il potere politico appare indebolito. Le armi riprendono a farsi sentire in scenari in cui le guerre si combattono in modo nuovo, sempre più tecnologico, su diversi fronti regionali e nazionali, e anche sui palcoscenici mediali globali» (In Gesù Cristo. Il nuovo umanesimo, p. 22). C'è stata l'indizione dell'Anno Santo straordinario della Misericordia, l'enciclica Laudato Si, il Sinodo dei Vescovi dedicato al tema della famiglia con la pubblicazione dell'esortazione Amoris Laetitia, sulla cui interpretazioni le Chiese locali ancora discutono.

Nel frattempo, oltre alla dimensione magisteriale, il Papa ha arricchito il carico delle sfide politiche lanciate al mondo e il piano delle relazioni con i soggetti sociali più interessati a condividere la prospettiva suggerita a partire dall'esortazione Evangelii Gaudium: col supporto del Pontificio Consiglio Iustitia et Pax del card. Turkson, la platea dell'Encuentro è passata dai 200 iniziali agli oltre 3000 radunati il 5 novembre in Aula Paolo VI.

Quale il senso dell'incontro? La Carta di Santa Cruz, dichiarazione finale del II Encuentro, recava il superamento di «un modello sociale, politico, economico e culturale in cui il mercato e il denaro si sono convertiti nei regolatori delle relazioni umane a tutti i livelli» attraverso alcuni punti programmatici che l'incontro di Roma 2016 ha rilanciato: stimolo ai processi di cambiamento, nel senso di «rivoluzionare le strutture più profonde di oppressione, dominazione, colonizzazione e sfruttamento»; ecologia integrale, nel senso del «buon vivere», specialmente per i popoli indigeni; lavoro buono; vita dignitosa contro «la speculazione e la mercantilizzazione dei terreni e dei beni urbani», «gli sgomberi forzati, l’esodo e la crescita degli agglomerati marginalizzati»; riforma agraria integrale; cultura di pace; lotta alle discriminazioni; libertà di espressione; sviluppo tecnologico al servizio dei popoli; lotta all'individualismo consumista come «progetto di vita».

La preparazione del III Encuentro ha visto una tappa nascosta ma decisiva col motu proprio Humanam Progressionem, emanato il 31 agosto dal Papa. Nel documento, Papa Francesco istituisce come nuovo dicastero della Curia la congregazione per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, «competente nelle questioni che riguardano le migrazioni, i bisognosi, gli ammalati e gli esclusi, gli emarginati e le vittime dei conflitti armati e delle catastrofi naturali, i carcerati, i disoccupati e le vittime di qualunque forma di schiavitù e di tortura». In questo organismo a partire dal gennaio 2017 convergono le attività di Caritas internazionale, la pastorale per i migranti e le vittime di catastrofi naturali, l'impegno degli operatori sanitari, le vertenze connesse alla disoccupazione e all'esclusione sociale. Alla testa del dicastero il presidente di Iustitia et Pax, ormai sciolto, Turkson. Il dicastero, che opererà in collaborazione con la Segreteria di Stato, è indice di un impegno strategico sul versante delle questioni sociali, in senso ampio. Ecco perché il discorso del 5 novembre ha un senso più alto rispetto ad una mera bellezza episodica: nell'idea di umanesimo integrale possiamo unire le parole chiave del discorso di Francesco e alcuni punti sottolineati dai contributi raccolti nel pomeriggio.

La via campesina proposta dai coltivatori della Colombia, ad esempio, si smarca dal solo accompagnamento caritatevole della povertà nel mondo agrario, racconta di una gestione diversa della proprietà terriera rispeso al riduzione della terra a merce. È una via che si lega alla tutela della «casa comune» su cui poggiava l'enciclica di Francesco e cui si è abbinato l'intervento della Confagricoltura, che ha denunciato la speculazione dei mercati.

Speculazione contro la terra, contro le comunità di nativi, cui si è concentrata una parte rilevante degli interventi, contro il lavoro. L'accusa ad sistema finanziario irrispettoso dei diritti dei lavoratori si è levata attraverso la comunicazione di un operaio bengalese e di un aderente alla federazione dei cartoneros, che ha chiesto il riconoscimento dell'opera svolta dai raccoglitori di scarti. Accompagnati dalla musica dei giovani rifugiati d'ogni parte del mondo del Centro Astalli, sede italiana del Jesuit Refugee Service attivo in 40 Paesi, gli interventi hanno poi fornito un quadro della situazione mondiale delle politiche abitative grazie ad una cittadina di Scampia e all'intervento dell'Internation Alliance of Inhabitants (reduce dal Forum Sociale della Resistenza Popolare di Quito: non proprio un raduno di giovani cattolici), la quale ha anche chiesto pubblicamente alla Chiesa di assumere una posizione netta circa le proprietà abitative e terriere ecclesiastiche che hanno imposto sfratti ad emarginati.

Non sono stati dimenticati i temi connessi alle migrazioni per ragioni climatiche o belliche, con la segnalazione sulle 240 persone che, solo nei tre giorni dell'Encuentro, avevano perso la vita nel Mediterraneo: emblema di una tragedia che prosegue nella grave indifferenza degli Stati. Poco prima dell'intervento del Papa, è stato ricordato per punti il senso della Carta di Santa Cruz, con un approfondimento programmatico che potrebbe avere molti riscontri nella quotidianità delle relazioni politiche e sociali: l'Encuentro ha rilancio la giornata mondiale sfratti zero, la necessità di un'alternativa al capitalismo, l'impegno per una democrazia con i movimenti popolari come protagonisti, l'esigenza dell'accesso pubblico e gratuito all'acqua, la riforma della proprietà terriera, il no alla xenofobia. Nel nome di una «società più giusta in cui nessuno sia considerato uno scarto».

Dallo stesso podio da cui avevano preso la parola i relatori del pomeriggio, scelta non usuale per l'ordinario svolgimento delle manifestazioni con il Pontefice, alle 17 è stata la volta di Francesco. In un accorato spagnolo, il Papa ha ribadito ai «poeti sociali» presenti all'Encuentro i punti espressi da chi lo aveva preceduto, fornendo una lettura d'insieme che ha tenuto dentro la continuità con la dottrina sociale della Chiesa e le rotture frutto di un'analisi profonda della fase storica. La continuità non si è basata sulla sola ripresa del magistero sociale, ossia le encicliche Quadragesimo anno (1931, Pio XI) ed Octogesima adveniens (1971, Paolo VI), elemento necessario di legittimazione nel quadro della fede cattolica che nessun Papa può trascurare, ma anche nell'incardinare anche i ragionamenti più radicali nel quadro del Vangelo: oltre alle numerose citazioni del discorso, è stato distribuito a tutti i presenti un opuscolo con alcuni estratti dell'esortazione Amoris Laetitia dedicati al senso dell'amore quotidiano (n. 90-119). La ripresa di tali passi – per essere chiari – ha lo stesso senso della legittimazione di quell'etica familiare e di quella visione morale dell'amore coniugale che, quasi certamente, una parte degli aderenti all'Encuentro non gradiscono della proposta di fede fornita dal cattolicesimo.

Forse vogliamo ribadire la stizzosa obiezione di un vecchio film degli anni Sessanta, per cui «il prete ti frega e ti fregherà sempre»? O forse vogliamo esaltare il matrimonio nel mero senso cristiano? Al contrario: bisogna capire con lucidità che le rotture di Francesco e quella inedita capacità di “dar ragione” ad una parte del cattolicesimo impegnato nelle relazioni sociali e nella ricostruzione di politiche solidali provengono da una base che, per il credente, permane identica. In tal caso, il fondamento è l'inno paolino alla carità (1 Cor. 13, 4-7), che Francesco usa alla n. 90 della Amoris Laetitia per indicare il senso del «vero amore»: nella caritas che «non è invidiosa, non si vanta [..] tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta». Questo non diminuisce ma arricchisce il significato delle parole di Francesco: la forza del cambio che il Papa legittima ospitandoli presso la Sede di Pietro ha in sé gli strumenti per essere intesa, potenzialmente, anche dal credente più retrivo, intransigente, tradizionalista. È la forza che spinge il cristianesimo ad essere, in sé, non individualista, agente di trasformazione «secondo i luoghi, i tempi e le persone», citazione di sant'Ignazio. Non è un caso che, fin dagli inizi della stessa corrente del c.d. cattolicesimo sociale, ciò non si è mai necessariamente collegato ad una assunzione della democrazia o, peggio, del «diritto alla felicità», di una felicità che è «vita buona» che Francesco ha desunto dalle parole di Mujica.

Tre i cardini del discorso di Francesco, due gli impegni richiesti ai presenti.

Abbattere il terrore e i muri, frutti di una struttura socio-economica «ingiusta», che rende sacro il denaro e, allo stesso tempo, da strumento lo trasforma in fine assoluto e «divino». Il vero «terrorismo di base», per Francesco, è la tirannia del denaro che genera le ragioni “sovrastrutturali” dei terrorismi religiosi ed inocula il germe della paura nelle società più sviluppate o ricche. La paura come mezzo di manipolazione delle civiltà ed agente creatore delle xenofobie, dei razzismi, dei «muri macchiati di sangue». Ponti contro muri: una colonna portante d'impegno che si differenzia rispetto alla mera difesa della identità cristiana dell'Europa, ormai patrimonio di movimenti di estrema destra e che non manca di generare polemiche quasi quotidiane fra vescovi e “comunità aggredite” da supposte invasioni.

Secondo punto: i ponti dell'Amore, frutto di quella «intelligenza del cuore» che è voluta ripresa evangelica, dunque sfuggente rispetto alla logica umana. Logica per cui la destinazione universale dei beni, l'auto-recupero di una fabbrica fallita, la dignità delle persone sul posto di lavoro sono esempi di «risanamento umano» che si contrappongono alla logica della «efficienza», che produce lo «scarto». Ecco l'umanesimo integrale, con matrice anti-consumista, comunitaria e non individualista.

Terzo punto: la «bancarotta dell'umanità» che si compie quando non c'è né ponte né Amore. Si tratta d'una netta espressione ripresa da alti esponenti dell'episcopato ortodosso come il patriarca ecumenico Bartolomeo e il metropolita di Grecia Hieronymus – anche qui, si noti l'ecumenismo delle pratiche, con la citazione dei vertici della Chiesa dei “fratelli separati”. Espressione vissuta in persona dal Papa e da migliaia di operatori volontari, fra Lesbo e Lampedusa, dove il grido di «vergogna» pronunciato da Francesco è atto d'accusa verso determinati governi del continente. E il tema del salvataggio diventa ripresa del sopra citato umanesimo: se si salvano le banche, come è possibile non salvare le persone? Se la politica si esprime come strumento per il salvataggio del non-umano perché l'umano è meglio se mercificato, quale il destino dell'Uomo? Quale il senso della politica?

Nei due impegni che seguono c'è il passo in più di Francesco. Passo di cui potremo sentir parlare ancora a lungo, se il magistero quotidiano della Chiesa e le strutture ecclesiastiche riprenderanno tale ispirazione strategica.

Il primo impegno riguarda il ruolo stesso dei soggetti sociali e popolari: se è positiva la centralità del «sociale» e la preminenza delle attività volontarie solidali, ciò non deve costituire una scusante per il Potere o per le organizzazioni stesse. Per il Papa se si riduce l'impegno del «sociale» alle piccole politiche di socialità, di elemosina, di supplenza verso il Pubblico, non si attua il progetto di umanesimo integrale. Si diventa «un carro mascherato per contenere gli scarti del sistema», poiché si resta in una «casella» che invece va rotta. In tal senso la connessione con la crisi della democrazia: «incasellarsi» in un assistenzialismo virtuoso ma limitato rende la democrazia un mero «nominalismo», disincarnata rispetto alla materialità della vita. Quale l'invito perentorio del Pontefice?

«Voi, organizzazioni degli esclusi e tante organizzazioni di altri settori della società, siete chiamati a rivitalizzare, a rifondare le democrazie che stanno attraversando una vera crisi».

Il secondo impegno è non lasciarsi corrompere, praticando una austerità «morale», che il Papa ha precisato almeno due volte come diversa da quella finanziaria. Se non fosse stato vestito di bianco, si sarebbe pensato all'ultimo Berlinguer, quello della «questione morale».

L'invito ad uno spirito di servizio autentico, umile, che si faccia esempio di responsabilità, è rivolto a tutti, compresi agli uomini ed alle donne della Chiesa: «Bisogna vivere la vocazione di servire con un forte senso di austerità e di umiltà», contro ogni esibizionismo.

Fra i consigli ultimi affidati ai presenti, il richiamo del Martin Luther King del 1957 (Sermone tenuto nella chiesa battista di Dexter Avenue) sulla forza dell'amore contro l'odio: «La persona forte è la persona che è capace di spezzare la catena dell'odio, la catena del male». E nella “benedizione informale”, dichiarata ma non liturgicamente impartita, l'invito ai non credenti è stato un segnale che ha colto molti: «Quelli che non possono pregare, lo sapete, pensatemi bene e mandatemi una buona onda».

Il discorso di Francesco non può essere letto alla luce dei legittimi entusiasmi del momento: si tratta di un dispositivo ideale potente, egemonico sul piano politico e del dibattito pubblico, intriso di robusto senso della storia e di esplicito interesse a condizionare le scelte degli Stati. Una visione completa del mondo che tiene insieme gli elementi anche più “integrali” della fede cristiana con uno strumento come il raduno internazionale di movimenti popolari che non è più l'evento emotivo di massa per credenti come la Giornata Mondiale della Gioventù secondo la prospettiva di san Giovanni Paolo II, ossia il luogo della valorizzazione dell'identità con una chiave generazionale (l'idea dei giovani inizialmente seguita da Benedetto XVI), ma un momento – con le sue capacità di essere “mediaticamente emotivo” anch'esso, ci mancherebbe – in cui la stessa identità del cattolicesimo si pone come proposta rispetto ad un contesto più ampio. Un input, valido, che ritrova la sua capacità egemonica rispetto all'altro (il laicato non cristiano), che in una fase storica di smaterializzazione delle comunità è letteralmente antisistema, avversario del capitalismo.

Anche se proposto dall'organizzazione di massa più diffusa al mondo come sistema e capace, nel passato, di legittimare (non del tutto..) il sistema che critica?

La risposta – e mi spiace per gli anticlericali più incalliti – è affermativa. Poiché nell'umanesimo integrale proposto dal Papa si ancora il magistero sociale e soprattutto il Vangelo; s'incardina il riferimento alle altre confessioni cristiane e, ancora di più, un metodo che è quello dell'incontro. Un incontro che può costare sul piano dell'identità cristiana in senso stretto? È possibile, ma solo la declinazione quotidiana che la Chiesa saprà dare, attraverso le sue strutture e le sue organizzazioni, può far intendere l'autentico decorso delle parole del Papa. Resta in campo, in ogni caso, una capacità inedita di tradurre messaggi percepiti dal ceto dirigente politico ed economico come minoritari (sfratti zero? reddito? ecologia integrale?) in una luce maggioritaria, di massa. Non si può che registrare la desolante assenza di chi, sul piano politico, prova a costruire una visione d'insieme, ma le presenze curiose in Aula Paolo VI, indubbiamente, raccontano già i soggetti che faranno operazioni di proposta in tal senso.

La Misericordia, intanto, è un progetto politico.

Documento preparatorio al III Encuentro Mundial

Discorso di Papa Francesco, 5 novembre 2016

Motu Proprio Humanam Progressionem, 31 agosto 2016

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