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Giovani e articolo 18, le comode bugie di Alesina e Giavazzi

Uno spettro si aggira per palazzo Chigi, e gli ineffabili Alberto Alesina e Francesco Giavazzi sembrano esserne davvero terrorizzati: la riforma del mercato del lavoro proposta dal governo Monti, che a partire da domani sarà discussa con le parti sociali, potrebbe non prevedere l'abolizione dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori.

Ovviamente tutti gli osservatori, compresi noi, per ora evitano di esprimersi: le proposte anticipate qualche giorno fa da Repubblica sono interessanti ma ancora piuttosto confuse, ed è preso per capire se quelle di Elsa Fornero sono davvero le ricette giuste per far uscire dalla precarietà milioni di lavoratori, soprattutto giovani. Ciò dipenderà da mille variabili: quanti saranno i contratti, con quali soglie salariali e quali scansioni temporali, con quali automatismi e quali rinnovi, e così via. L'esperienza ci insegna che basta una virgola a fornire l'escamotage alle imprese più furbe per nuovi meccanismi di sfruttamento. Quindi aspettiamo di saperne di più.

Alesina e Giavazzi, invece, non si fanno di questi problemi, e pubblicano già oggi un editoriale di commento su una riforma che inizierà a essere dicussa domani. Del resto i due economisti hanno già dato mostra in passato di miracolose doti di preveggenza. Il 4 agosto 2007, nelle prime settimane della crisi, Giavazzi scriveva infatti sul Corriere:

La crisi del mercato ipotecario americano è seria, ma difficilmente si trasformerà in una crisi finanziaria generalizzata. Nel mondo l’economia continua a crescere rapidamente. La crescita consente agli investitori di assorbire le perdite ed evita che il contagio si diffonda.

E poche settimane dopo, il 20 agosto, Alesina ribadiva sulla Stampa:

Non ci sarà nessuna crisi del 1929 come dice Tremonti: quella in atto è una correzione come ce ne sono state altre. No, non vedo in arrivo lo scoppio di una bolla come quella della new economy. Ultimamente si era esagerato un po’ a prestare denaro grazie a tassi d’interesse troppo bassi, ora è in atto una forte correzione, tutto qui.

E ancora un anno dopo, il 16 settembre 2008, su LaVoce.info, Giavazzi ribadiva:

Ieri è stata una buona giornata per il capitalismo. Dopo il salvataggio con una garanzia pubblica di Bear Sterns in primavera e di Fannie Mae e Freddie Mac il mese scorso, si era diffusa l’impressione che il governo americano avrebbe salvato chiunque: oggi le banche, domani le case automobilistiche e le linee aeree, dopo domani chissà. Invece, con grande coraggio, il segretario del Tesoro statunitense Henry Paulson ha detto basta. (…) Oggi la cintura di liquidità di cui ha bisogno AIG sarà anch’essa offerta dal mercato. Il Tesoro e la Fed si limitano ad un’opera di coordinamento utile e che non costa nulla. È una svolta importante, la vittoria del mercato.

C'è voluto un altro anno perché gli innefabili ammettessero l'esistenza di una crisi, atto compiuto da Giavazzi non prima del 23 aprile 2009, con un memorabile appello all'indulgenza plenaria:

È venuto il momento di smetterla con le inutili discussioni sulle colpe della finanza e sul futuro del capitalismo (certo non saremo noi a determinarne la svolta, se mai ci sarà) e invece pensare al domani.

Insomma, forti di questo passato di previsioni azzeccate, Alesina e Giavazzi hanno deciso che per loro questa riforma è già da bocciare in partenza. L'editoriale si intitola Giovani e articolo 18, le verità scomode. Ma quali sarebbero queste verità? Si tratta forse delle vergognose condizioni di schiavitù in cui si trovano milioni di giovani lavoratori italiani? I nostri due eroi denunciano la situazione con una veemenza davvero ammirevole:

Come mostrano Emiliano Mandrone e Nicola Massarelli sul sito www.lavoce.info, la precarietà involontaria (cioè i lavoratori a termine involontari, i finti collaboratori e gli individui non più occupati perché hanno concluso un contratto temporaneo e ne cercano un altro) coinvolgeva, prima della crisi, poco meno di quattro milioni di lavoratori, quasi tutti giovani.
Per loro il precariato non è una breve parentesi nel percorso verso un lavoro stabile, è una «trappola»: nemmeno uno su tre riesce a passare a un contratto a tempo indeterminato. [...] i giovani rimangono precari troppo a lungo, talvolta a vita. E quando arriveranno alla pensione i pochi contributi saltuariamente versati non saranno sufficienti. Non solo, ma un’impresa non investe nella formazione di un lavoratore che dopo pochi mesi perderà: quindi la produttività dei giovani precari rimane bassa, non imparano nulla e più l’età avanza meno diventano impiegabili.

Una denuncia in grande stile, degna di due illustri accademici come Alesina e Giavazzi. Ma ciò che rende particolarmente onore ai due autori è l'ovvia autocritica che sottende questa denuncia: se la situazione dei lavoratori precari, oggi, in Italia, è così, evidentemente Alesina e Giavazzi sbagliavano quando reclamavano nuove leggi sul lavoro che introducessero quei contratti precari e quando demolivano quotidianamente chi, all'interno della maggioranza di centrosinistra tra il 2006 e il 2008, osava proporre la loro abolizione.

Eppure di questa autocritica non c'è traccia: a leggere l'editoriale, sembra che i contratti precari, in Italia, siano sempre esistiti, o siano stati introdotti di nascosto, illegalmente, come la peste portata nel medioevo dai topi che viaggiavano nelle sentine della navi. E ora che c'è la peste, l'unico modo per guarirla è farla finita con i vaccini, che impongono questa assurda iniquità tra malati e non malati. Su questo Alesina e Giavazzi sono categorici:

Per abbattere questo muro c’è una sola via: eliminare l’articolo 18.

La proposta non viene ulteriormente elaborata, altrimenti ai nostri due toccherebbe spiegare come: vogliono abolire l'articolo 18 per i nuovi assunti, come propone Ichino (ma allora in questo caso altro che muro abbattuto, si creerebbe un fossato insormontabile tra chi è stato assunto prima da una certa data, ed è tutelato, e chi è assunto dopo, e non sarà mai protetto in vita sua), oppure per tutti, come proponevano i Radicali e Forza Italia nel referendum più sconfitto della storia d'Italia (l'unico caso in cui non si raggiunse il quorum eppure vinse con una maggioranza bulgara il no, anche tra i pochi che erano andati a votare)?

Manca del tutto una risposta alla domanda che facciamo da tempo: se il problema è la situazione drammatica di chi lavora con contratti precari, perché non intervenire su quei contratti e sulle leggi che li istituiscono, invece con una norma a tutela della libertà sindacale? Come mai, per riparare i danni della legge 30/2003 sul mercato del lavoro bisogna intervenire su un articolo della legge 300/1970 a tutela contro le discriminazioni antisindacali? L'articolo 18 è stato in vigore per decenni senza generare precarietà. È stata l'introduzione di altre forme contrattuali, non tutelate dall'articolo 18, a portare alla situazione attuale. Non pretendiamo che Alesina e Giavazzi rispettino una consequenzialità logica, ci basta quella cronologica: può una norma del 1970 aver prodotto i suoi effetti malefici solo a 40 anni di distanza, e guarda caso solo dopo l'approvazione di altre leggi che ne consentivano la deroga?

Insomma, il punto resta sempre lo stesso: in che modo liberalizzare il licenziamento aiuterebbe a rendere più stabile il posto di lavoro? I nostri veggenti preferiti si degneranno mai di spiegarci il trucco dietro questa formula magica?

Verrebbe quasi da chieder loro di portare alle estreme conseguenze ciò che dicono: rinuncino alle loro comode cattedre da ordinari illicenziabili e facciano per un po' la vita che augurano a tutti, quella del ricercatore precario con un concorso ogni 6 mesi. Le loro verità sarebbe sicuramente più scomode. E diffcilmente troverebbero il tempo di scriverle sul Corriere...

Ma, in fondo, Alesina e Giavazzi, si meritano la nostra solidarietà. Non è colpa loro, sono semplicemente nati nel secolo sbagliato. Probabilmente, nel Trecento, l'idea di curare la peste vietando i vaccini, se propagandata con il giusto apparato di santi e reliquie, avrebbe avuto successo. Ammettiamolo, le loro sono davvero "scomode verità", in quest'epoca di empia secolarizzazione. In fondo, Alesina e Giavazzi non sono che vittime, innocenti agnelli sacrificali del nostro crudele illuminismo...

Ultima modifica ilLunedì, 21 Ottobre 2013 14:16
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