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Quella del "quarto Premier non eletto" è un'accusa alla democrazia senza popolo

Quella del "quarto Premier non eletto" è un'accusa alla democrazia senza popolo

La notizia del conferimento dell'incarico di Presidente del Consiglio a Paolo Gentiloni da parte del Presidente della Repubblica ha scatenato sui social due particolari tipi di reazioni: in molti hanno tuonato contro il "quarto Presidente del Consiglio non eletto dai cittadini", dopo Monti, Letta e Renzi; in altrettanti - se non più dei primi, ma questa è probabilmente una percezione dovuta alla filter bubble di chi scrive - hanno ricordato che la Costituzione non prevede che il mandato di Presidente del Consiglio sia conferito direttamente dal popolo.

C'è tuttavia una ragione profonda per cui la retorica del "Premier non eletto" - formalmente erronea, ma legittimamente radicata nel senso comune di molti - ha preso piede; una ragione che ha precise responsabilità politiche, attribuibili a molti maestrini dalla penna rossa che recitano la Costituzione a memoria dopo averne massacrato la sua configurazione materiale.

Si tratta infatti della reazione naturale alla tensione cui la politica si è auto-sottoposta negli ultimi trent'anni: da un lato delegare potere reale alla sfera dell'economico, ai grandi interessi privati e alle lobby, dall'altro autoriformarsi in chiave decisionista ed esecutiva, togliendo attraverso questo doppio movimento spazio all'effettività del potere popolare. Probabilmente la reazione stizzita di molti declamatori dell’articolo 92 della Costituzione deriva proprio dal disvelamento di questo bluff: una politica sempre più decisionista nel decidere di abdicare al suo ruolo.

Il risultato della prima direzione di questa tensione non è stato quello dell'estinzione dello Stato in favore dell'autoregolazione pura del mercato, come auspicato da qualche teorico del liberismo estremo, ma piuttosto la ridefinizione del ruolo e delle funzioni del 'pubblico'. Funzioni minime, ma pur sempre pervasive, definite al fine fare strada agli interessi privati:  così abbiamo conosciuto le grandi opere imposte con la militarizzazione del territorio, la riduzione delle mobilitazioni sociali a questioni di ordine pubblico, l'apertura al mercato di settori storicamente protetti, come i servizi pubblici locali, e via dicendo.

riscrivi italia pdLa seconda direzione della tensione si è espressa nella trasformazione profonda del sistema istituzionale, come mai si sarebbe potuto immaginare all'epoca della stesura della Costituzione. Si tratta, ad esempio, del cortocircuito che la politica ha provocato inserendo nel Porcellum, legge con la quale si è andati al voto ben tre volte prima che venisse dichiarata incostituzionale, della figura di “capo della coalizione”: un'allusione ad un sistema perlomeno semipresidenzialista - allusione amplificata anche dall’utilizzo delle primarie per scegliere i “candidati alla carica di Presidente del Consiglio” - che è stato smentito definitivamente dall'evoluzione tripolare dello scenario politico, con l'avanzata del Movimento Cinque Stelle. Un approccio del genere ha creato l'illusione del conferimento da parte degli elettori di un mandato chiaro, definito e duraturo, puntualmente disatteso nella realtà: solo per citare l'ultimo esempio in termini temporali, i 10,3 mln di voti alla coalizione Italia Bene Comune 'usati' per realizzare un programma totalmente opposto rispetto alle previsioni su lavoro, scuola, ambiente e tanto altro. La stessa riforma costituzionale sonoramente bocciata dal popolo italiano non trova alcun riscontro nel programma con cui PD e Sel si presentarono alle elezioni tre anni fa (mentre invece trova molti riferimenti nei suggerimenti di JP Morgan di quello stesso anno).

Nel 1953, la legge elettorale che avrebbe potuto assegnare il 65% dei seggi nel caso in cui una lista o un gruppo di liste avesse superato la metà dei voti venne definita “Legge Truffa”. Oggi l'Italicum propone di fare ben di peggio: non amplificare una maggioranza legittimata dal voto popolare, bensì trasformare artificialmente forze politiche che rappresentano la minoranza degli elettori in maggioranza nelle istituzioni. Ma in generale, la storia delle alchimie elettorali degli ultimi anni è la storia di un ceto politico che, persa la legittimazione popolare, tenta di sostituirla con escamotage sempre più originali. Quello che tuttavia i feticisti della “governabilità” – gli stessi che si agitano perché vogliono “sapere chi ha vinto la sera delle elezioni” – si scordano di raccontare è che essa si realizza sostanzialmente negando la volontà popolare e il principio di rappresentanza. Nella Prima Repubblica, con il sistema elettorale proporzionale puro, i partiti definivano a partire dal peso che gli elettori avevano loro conferito composizione, programma e durata dei Governi – e indirettamente delle legislature – sulla base di discussioni, decisioni e mediazioni che coinvolgevano una fetta consistente della popolazione. Non si trattava quindi semplicemente di un'architettura istituzionale funzionale, ma di una società che era, in larga parte e non solo attraverso i partiti, coinvolta nella politica. Pensiamo al fatto che nel 1955 l'8,7% della popolazione italiana era iscritta ai partiti dell'arco costituzionale; nel 2007 la percentuale di tesserati si attestava al 4% della popolazione, e negli ultimi anni è ulteriormente scesa, se guardiamo al solo tracollo del Partito Democratico che è passato dai circa 830.000 iscritti del 2009 ai 385.000 iscritti del 2015.

Nel contesto attuale di disintermediazione tra rappresentanti e rappresentati anche altri istituti costituzionali, come l'assenza di “vincolo di mandato” per i parlamentari, assumono un significato nuovo e imprevisto per i costituenti: e così i transfughi dall'opposizione alla maggioranza o viceversa in nome di interessi personalistici si moltiplicano e con essi le critiche e la rabbia verso una politica sempre più disconnessa dai bisogni e dagli interessi popolari. È necessario specificare che non c'è, da parte di chi scrive, nessuna velleità di riportare indietro – in un passato che presenta tra l'altro grossi limiti che meriterebbero una trattazione più lunga – un sistema sociale che è profondamente mutato nel corso di più di sessant'anni di storia; non è possibile pensare di applicare pedissequamente le soluzioni di ieri ai problemi di oggi. Piuttosto, i riferimenti storici servono a rimarcare come la fascinazione per i sistemi maggioritari sia una scorciatoia che non risolve affatto il problema dell'espulsione del popolo dalla sfera della democrazia sostanziale.
 

Il risultato di questa espulsione è anche la rabbia e l'indignazione di chi denuncia il quarto Presidente del Consiglio consecutivo non eletto dai cittadini. È un’accusa che pur essendo sgrammaticata dal punto di vista della Costituzione formale non può che costituire un segnale positivo, che rompe il recinto dei dibattiti angusti sull'architettura istituzionale per denunciare il fulcro del problema democratico nel nostro Paese: la costruzione del paradosso di una democrazia in cui la sovranità del mercato si è sostituita progressivamente alla sovranità del popolo. Questa denuncia – in qualche modo implicita e forse addirittura in parte non pienamente consapevole – andrebbe orientata nella direzione della riconquista di spazi di potere popolare e di controllo sulle istituzioni e sul loro operato, senza prestare il fianco a ulteriori iniezioni di 'governabilità' e 'efficientismo' in un sistema già piegato agli interessi e alle logiche del mercato. Andrebbe cioè definita una strada che – anche a partire dal risultato referendario, come spiegato bene in questo articolo – porti una maggioranza sociale che già esiste in Italia, quella di chi con questa crisi ha perso quel poco che aveva e continua a non poter decidere sostanzialmente nulla della propria vita, a conquistare il potere politico per stravolgere gli equilibri di un sistema che da tempo non risponde più alle esigenze dei molti che oggi stanno ai margini della politica. Per ‘aprire le finestre’ dei palazzi del potere e liberare la politica dal ricatto del mercato e degli interessi particolari cui si è sottomessa da ormai troppo tempo, per vincolare la rappresentanza alla volontà popolare, per rafforzare le forme di democrazia diretta e di partecipazione, soprattutto a livello locale, per aggiornare e attuare la prima parte della Costituzione promuovendo l'uguaglianza sostanziale. In definitiva, conquistare il potere politico per trasformare le vite di chi ha di meno e non ha mai deciso nulla.  

Ultima modifica ilLunedì, 12 Dicembre 2016 11:19
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