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Garibaldi e Occupy Piratini: salpiamo

copertina di Time, person of the year, the protester  2011, mondo
Non c'è settimana migliore, per far salpare Il Corsaro, di quella in cui Time ha deciso di dedicare la sua copertina di fine dicembre, come personaggio dell'anno, a «the protester». Come potremmo tradurlo, in italiano? I dizionari indicano «manifestante, uno che obietta, contestatore, dissidente, dimostrante, avversario».
L'illustrazione in copertina è tratta da un foto scattata a Sarah Mason, una ragazza di Highland Park, sobborgo di Los Angeles, che ha partecipato alle mobilitazioni di Occupy LA, e il 17 novembre stava manifestando di fronte alla Bank of America.
Nella copertina si legge:
«Dalla Primavera Araba ad Atene, da Occupy Wall Street a Mosca», e la dichiarazione ufficiale del direttore di Time Rick Stengel recita:

«Ovunque, quest'anno, le persone si sono lamentate del fallimento delle leadership tradizionali e dell'incapacità delle istituzioni. I politici non sanno guardare oltre le prossime elezioni, e rifiutano di compiere scelte difficili. Questa è una delle ragioni per cui non abbiamo selezionato un individuo quest'anno. Ma la leadership è arrivata dal basso della piramide, non dall'alto. Per aver catturato ed evidenziato un sentimento globale di impaziente speranza, per aver rovesciato governi e senso comune, per aver combinato la più antica delle tecniche con la più nuova delle tecnologie per aver riportato alla luce la dignità umana e, infine, per aver condotto il pianeta su un più democratico anche se qualche volta più pericoloso cammino per il XXI secolo, il manifestante è la persona dell'anno di TIME 2011»

Ci vogliono tutta la retorica e tutto il gusto per la suggestione tipici del giornalismo americano, per ricomporre in un'unica narrazione progressista i complessi e controversi avvenimenti del 2011. Però c'è un dato di fatto: la fine della storia, se è mai è iniziata, è sicuramente a sua volta finita. Se a cavallo del 2000 erano stati l'11 settembre e lo scoppio del movimento altermondialista a segnalare la debolezza dell'egemonia americana, un decennio dopo sono le fondamenta stesse dell'ordine mondiale post-89 a scricchiolare, ed entrambi i pilastri della pax imperiale, quello della crescita economica globale e quello della subalternità immodificabile dei popoli del Sud, sembrano tutt'altro che solidi.


Mario Monti2011, Italia
A sottolineare la beffarda complessità della storia, sotto le Alpi l'anno delle grandi rivoluzioni globali si è concluso con l'ascesa al potere di un grigio professore di economia conservatore. Mentre gli Usa pacificati e sonnolenti di Obama spalancano gli occhi di fronte ai giubbotti leggeri dei ragazzi e delle ragazze di Occupy Wall Street, l'Italia delle grandi mobilitazioni e del conflitto sociale più organizzato d'Europa si ritrova a lodare l'austero loden di Mario Monti.
Il 15 ottobre più popolato del mondo ha prodotto le mobilitazioni più stitiche del millennio, Silvio Berlusconi, che abbiamo picconato da sinistra per 17 anni, è caduto da destra, e Cassano si è fatto venire un ictus a pochi mesi dagli Europei.
Il 26 novembre 2010 Repubblica titolava:
«Gli studenti fermano la riforma». Ieri, 15 dicembre 2011, titolava: «Le lobby fermano le liberalizzazioni». È un problema delle lobby e degli studenti, senza dubbio. Ma è un problema anche di Repubblica, e di tutta l'informazione mainstream italiana, che ha vissuto per quasi due decenni nella bolla zoccolesco-giudiziaria del berlusconismo e che ora non trova le parole per romperla e iniziare a raccontare il mondo oltre B., fatto di inaccessibili pacchetti legislativi europei e poco fotogenici metalmeccanici in sciopero, di cittadini italiani che danno la maggioranza assoluta alla ripubblicizzazione dell'acqua e di parlamenti che danno l'unanimità alla sua riprivatizzazione, di borse che crollano e americani che protestano.
E allora forse è ora che iniziamo a raccontarlo noi, questo mondo. Noi che in quelle piazze c'eravamo.


1835, tra l'Italia e il mondo
Di me ti dico soltanto che sono poco felice, che mi macera l'idea di non poter avanzar nulla per le cose nostre, che abbisogno piuttosto di nembi che di calma e che sono impaziente di ricorrere agli estremi.
Scrivi a P. [Pippo, cioè Mazzini, ndr], digli che ci dia una ricetta ed incominciamo, o caro fratello! Non è la prima volta che t'importuno; non corrucciarti. Sono stanco, per Dio, di trascinar un'esistenza tanto inutile per la nostra terra, di dover fare il mercante marinaio. Sii certo che siamo destinati a cose maggiori; siamo fuori del nostro elemento, per ora, e mi tarda molto il momento di tuffarmici.
(Giuseppe Garibaldi, lettera a G.B. Cuneo, dicembre 1836)


Nel 1835, il ventottenne Giuseppe Garibaldi, ricercato per un'insurrezione popolare contro i Savoia che non si era mai verificata, scappa in Sud America. Lì raduna un po' di dispersi della Giovine Italia, si fa fare una lettera di corsa della neonata Repubblica Riograndense (capitale Piratini, perché la storia del mondo è uno sketch dei Monty Python) e si imbarca corsaro contro l'Impero del Brasile.
Lascia la delusione per la piazza vuota di Genova, dove aveva atteso inutilmente per ore una rivoluzione che non ci fu, e se ne va dall'altra parte del mondo, ad allargare lo sguardo oltre l'oceano, a occuparsi di altre rivoluzioni, a prendere appunti per capire come si fa, in attesa di tornare a fare il '48 a casa propria.
Diventare corsari in giro per il mondo, sembra un passaggio dovuto, per chi vuole cambiare l'Italia. Bene, facciamolo. Improvvisiamoci Garibaldi e lanciamo la nostra personalissima Occupy Piratini.


I piccoli maestri di MeneghelloQualche promessa
Salpiamo oggi, lanciando la sfida di far partire un contenitore web di informazione indipendente, impegno sociale e partecipazione politica, in grado di dare un modesto contributo al racconto dell'Italia e del mondo e di creare uno spazio di dibattito pubblico fuori dal mainstream di cui tutto ciò che si è mosso in Italia negli ultimi anni ci sembra avere un disperato bisogno.
Siamo piuttosto giovani, alcuni studenti, altri lavoratori più o meno precari, alcuni con esperienza giornalistica, altri abituati a raccontare la propria quotidianità più sui social network che sulla stampa, alcuni con una storia di attivismo politico, altri pure, ma non nella stessa parrocchia. Abbiamo partecipato a vario titolo alle mobilitazioni degli ultimi anni, rivendicando un'alternativa alla scelta tra rassegnarsi ed emigrare. La rivoluzione non è arrivata, ma tante cose si stanno continuando a muovere, in Italia e nel mondo, e abbiamo deciso di metterci a raccontarle.
Nelle prossime settimane ci presenteremo in forma più strutturata, ora ci limitiamo a fare qualche promessa:

  • questo pippone serve a smaltire tutte le riserve di retorica di cui siamo dotati. D'ora in poi, come ne I piccoli maestri di Meneghello, è abolita. Vietate le citazioni argute, i luoghi comuni e i facili ideologismi;

  • non avremo padroni né padrini, non guarderemo in faccia nessuno, saremo più corsari di Pasolini e Henry Morgan messi insieme, ma detta così sembra già smentire la promessa precedente;

  • delle nostre tre notizie di apertura, almeno una sarà sempre di esteri;

  • staremo sempre attenti all'ortografia e alla sintassi;

  • niente sarà mai fatto alla cazzo di cane, nei limiti delle nostre possibilità, dai dettagli tecnici del sito alla documentazione dietro ogni articolo, perché ribellarsi alla sciatteria è rivoluzionario;
  • renderemo conto pubblicamente degli innumerevoli errori che già intravediamo sulla nostra rotta.

Leviamo l'ancora.

Ultima modifica ilVenerdì, 16 Dicembre 2011 12:00
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