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"Ciro era un ragazzo"

"Ciro era un ragazzo" foto E. De Majo

Sono mancata dal quartiere per qualche giorno, e ci sono ritornata soltanto ieri (26 giugno). Ho preso il pullman dallo stazionamento della metro e addentrandomi dentro Scampia cercavo segni percepibili di quello che era successo. Cercavo segnali, e il quartiere era silenzioso, deserto, chiuso in se stesso.

Ciro se ne era andato, e cercavo qualcosa in queste strade che lo testimoniasse. Finalmente ho visto gli striscioni, nella piazza dei grandi eventi, e la gigantografia con la sua faccia. Poi però avanzando ulteriormente, alla rotonda dello Chalet Bakù, ho visto quello che veramente mi ha colpito più di tutto in questa vicenda, e la cosa che ritengo sia più il simbolo di tutto questo. Uno striscione piccolo, sottile, bianco. C'era scritto in nero “Con Ciro nel cuore. Gli ambulanti di Scampia” e c'era disegnato un cuore rosso. Una cosa di una semplicità disarmante, che però ti dà il senso della comunità che pure questo quartiere sa essere. Scampia ha avuto la più dignitosa delle reazioni di fronte alla morte di Ciro Esposito, e ha pianto il figlio, fratello, compagno di tutti. Non siamo abituati a tanta popolarità: noi sappiamo stare sotto i riflettori solo quando si parla di camorra perchè così ci hanno insegnato, ma proprio grazie alla nostra incapacità di gestire una cosa del genere, abbiamo dato una lezione di stile. Un lutto discreto, silenzioso, caloroso, sentito da tutti. 

Ieri quando la macchina con la bara è passata davanti all'autolavaggio gli applausi e i cori li ho sentiti da camera mia. Da stamattina dalla cucina sento gente che ne parla. C'erano le donne, le casalinghe, che si organizzavano per prendere dei fiori. Ciro è il figlio di tutte loro. Poteva essere il figlio di tutte loro, è il figlio che tutte loro vorrebbero avere: uno che era cresciuto in un contesto di merda, e che non aveva fatto una brutta fine. Uno che si svegliava la mattina e andava a lavorare, che si era trovato una ragazza e stava pensando di sposarsi. Uno che lavorava tutta la settimana e quando metteva un po' di soldi da parte andava a guardarsi le partite allo stadio. Il meglio che vorrebbero augurare ai loro figli e proprio per questo con tutta la naturalezza di questo mondo hanno fatto una colletta per la corona di fiori per un ragazzo che non hanno visto mai. E c'erano i ragazzini, quelli che passano le giornate per strada e li riconosci un po' perchè li vedi tutti i giorni, un po' perchè, tutti uguali, te li riproduci mentalmente in un unico volto di scapestrato che gioca a pallone, prende in giro i passanti, ogni tanto litiga ma più spesso sta in gruppo, in comitiva, ogni tanto in branco. Sono ragazzi normalissimi, la "normalità" di questo quartiere di cui non parla nessuno mai. E stamattina li sentivo che si organizzavano "amma j o funeral ogg?" "a che ora ce verimm?" "i vac pur nu poc mo". E sono gli stessi che ieri quando si è alzato improvvisamente quel fragore nel tardo pomeriggio, quando mi sono affacciata per guardare da lontano quel poco che la distanza mi consentiva di vedere, ho visto correre verso l'assembramento. Schizzavano da ogni parte: dai porticati, dai palazzi, dai negozi. Era arrivato Ciro e correvano a vedere. E questo è difficile da spiegare ma forse è solo fin troppo facile. Ciro era uno di loro. Era stato uno di loro, e di loro è diventato il simbolo. Suo malgrado, come tutti i veri simboli.

Questo quartiere si è scoperto comunità intorno a quel simbolo, e ha scoperto una dignità che ha tanto da insegnare alle feste sfarzose che nel frattempo la Napoli bene ha tenuto in città tanto quanto ai pennivendoli da quattro soldi che hanno avuto la parte peggiore in questa vicenda.

Ciro è simbolo perchè è l'espressione della dignità anonima di Scampia, quella che fugge gli stereotipi, le etichettature, e di cui nessuno sa niente. Un ragazzo come un altro che lavora in un autolavaggio. Non sono mai stata favorevole all'eroizzazione. Non mi piace l'idea che qualcuno che vive la propria vita senza fare niente di eccezionale sia visto come eroe. Nemmeno se perde la vita perchè soccorre donne e bambini. Non per sminuire, ma perchè mi piacerebbe questa fosse la norma. Dopodichè il mio quartiere ha eletto questo ragazzo a proprio eroe, e io ne vado fiera comunque. Ne vado fiera perchè ho passato gli ultimi mesi a combattere contro i mulini a vento di una soap opera che ha dipinto a tinte sgarcianti ben altri eroi, ben altri simboli. Se Ciro Esposito deve essere l'eroe di Scampia, ben venga. Se Scampia deve avere come eroe uno che si sveglia la mattina e va a faticare e si costruisce una vita e delle prospettive nonostante quello che ha intorno, ha il migliore degli eroi che possano rappresentarla. Se essere un eroe vuol dire essere modello per qualcun altro, porsi non come esempio da cattedra ma come concreta strada alternativa da seguire, sono contenta che si tratti di lui proprio perchè non era uno speciale  ma era uno qualunque.

Ed è questo che sono certa che quelle migliaia di persone che oggi riempivano come me la piazza dei suoi funerali sapevano. È questo che sapevano le centinaia di persone che non lo conoscevano e ho visto piangere al suo funerale. Scampia piange suo figlio, un suo figlio qualunque. Ed è questo che nemmeno tutte le strumentalizzazioni mediatiche, le esasperazioni alla ricerca di qualche click in più, le esagerazioni gratuite, la ricerca della notizia a prescindere, potranno alterare. Il quotidiano di Napoli per eccellenza – ma non solo lui - in questi giorni ci ha dato una lezione magistrale di questo giornalismo becero. Dai titoloni che parlavano di Ciro Esposito chiamandolo “Ciro”, come se fosse stato un amico, un parente, un vip, tra "Ciro è morto" e "Ciro è a casa", come fossero rivolti a "Yara" o "alla piccola Sara", quando per cinquanta giorni prima non hanno fatto altro che parlarci del guardaroba della carogna e poi se lo sono scordato proprio, alle cronaca fedele di ogni secondo di ciò che succedeva nella camera ardente, dal malore della madre al bicchiere d'acqua che le hanno portato, fino a dirci che la carogna era al funerale, ancora una volta a cercare la notizia dove non c'era, nelle stronzate e non nel fatto enorme che era successo: un ragazzo di ventinove anni morto ammazzato da un fascista che un giorno ha deciso che nella sua città non poteva entrare un napoletano, perchè odiava la sua squadra. Ma questo non basta, non bastava cinquantatrè giorni fa, quando hanno sparato a Ciro, e non basta oggi, quando al suo funerale un quartiere intero – strade deserte, negozi chiusi – e una città intera - “signora da dove viene?” “da via Chiaia” - e un paese intero – interminabile l'elenco delle tifoserie a rendere omaggio – si sono riuniti per rendergli un omaggio silenzioso e dignitoso. Molto più dignitoso del modo in cui tanti giornalisti hanno svolto il proprio mestiere oggi.

Ciro Esposito è morto, e oggi ci sono stati i suoi funerali. E c'era un sacco di gente, e c'era voglia di riscatto, e c'era un sacco di incredulità che pure un bravo ragazzo possa morire ammazzato, e  c'era sua madre che ha detto che questa cosa non deve essere invano, e che nonostante le abbiamo ammazzato il figlio non ha fatto altro che chiedere che non ci sia nessuna violenza in suo nome, e c'era la sua fidanzata che ha letto il brano di Agostino sulla morte, e quando ha finito di leggerlo ha detto una cosa spiazzante: “Ciro era un ragazzo”. E c'eravamo tutti noi, lì, proprio per quella ragione.

Ciro era solo un ragazzo, e l'hanno ucciso.

Ultima modifica ilLunedì, 14 Luglio 2014 11:20
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