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Verybello: Renzi, internet e noi. A sinistra.

Verybello: Renzi, internet e noi. A sinistra.

dal blog di Claudia Vago, riflessioni su Verybello.it, Renzi, internet e la sinistra, quella vera.

Negli ultimi quattro o cinque giorni ho letto tanto. Ho letto tanto, ma ho letto solo di poche cose. Ho letto di Verybello.it, di Human Factor, della vittoria di Syriza alle elezioni legislative greche. Ho letto articoli e analisi, post su blog e facebook, tweet e mail in mailing list. Se mettessi tutto insieme (e per la gioia di Gallizio) credo di aver letto un tomo da 3-400 pagine.

Ho letto tanto, ma quando leggo le cose sull’internet più facilmente che in altri formati la mia testa crea connessioni logiche tra i contenuti e gli argomenti, connessioni che rendono la lettura più complessiva e restituiscono maggiormente la complessità del mondo.

E infatti credo che Verybello, Human Factor e il trionfo di Tsipras in Grecia siano strettamente connessi tra loro e dicano moltissimo del male che ci affligge, a sinistra.

Di Verybello si è scritto tanto, da tanti punti di vista. Ne hanno scritto persone molto competenti sui temi del turismo, della Rete, dell’usabilità, del marketing. Avrei poco da aggiungere e quindi vi rimando alle lettura di Matteo Flora, Maurizio Boscarol, Paolo Iabichino, Riccardo Luna, Massimo Mantellini.

Leggevo e condividevo (quasi) ogni considerazione, dall’inopportunità del progetto, alle lacune di realizzazione, ai dubbi sull’efficacia dei messaggi… e però qualcosa restava inespresso nella mia testa, mentre scorrevo la mia timeline di Twitter e seguivo i lavori di Human Factor a distanza aspettando gli exit poll greci.

Poi Rocco ha scritto quello che pensavo.

 

 

 

Tutta l’operazione Verybello è lo specchio fedele dell’epoca renziana in cui viviamo, dei lustrini appiccicati ovunque per dare parvenza di novità al vecchio che non fa che riproporsi ed essere riproposto, del giovanilismo nemico dei giovani, del mito del merito che non si fa problemi a mortificare le competenze. In un’epoca in cui una “riforma” è ontologicamente positiva e il presidente del consiglio usa Twitter con disinvoltura, come metafora della disintermediazione che applica in ogni campo, violentando così i più basilari principi di funzionamento della nostra democrazia, cosa potevamo aspettarci?
Siamo un Paese che non sa nulla di internet, non ha cultura digitale, un Paese in cui 2 persone su 5 non si sono mai connesse alla Rete. Però siamo il Paese dei tavoli di esperti, dei campioni del digitale, delle innovazioni che brillano e che nascondono il vuoto di cultura, anche e soprattutto di chi ci governa, della passione delle persone competenti usata come foglia di fico per la propria pochezza, per la propria mancanza di visione, di strategia, di progettazione.
Siamo un Paese in cui a parole tutti vogliono il cambiamento, dando ad esso, come a riforma, un’intrinseca accezione positiva: nella realtà nulla cambia mai e se qualcosa cambia non è mai in meglio per la collettività.

E quindi leggevo pareri di ogni tipo e pensavo a quanti buttano la propria passione, le proprie competenze, le proprie energie e la propria voglia di cambiamento al servizio di chi non ha nessun reale interesse nel cambiamento e ha a cuore piuttosto il mantenimento della propria posizione. E me la prendevo con queste persone perché pensavo e penso che bisogna smettere di prestarsi ai giochi di chi non sa, non capisce e comunque non vuole il cambiamento. Pensavo che quella passione, quelle competenze e quelle energie andassero spese altrove, per costruire altro.

Ci ho pensato molto. E poi ci ho ripensato.

Negli ultimi mesi, dalla campagna elettorale per L’Altra Europa con Tsipras in poi, sono rimasta invischiata nell’eterno dibattito della sinistra che cerca se stessa e una forma. Un po’ per ragioni professionali, mi dico, perché continuo ad occuparmi della comunicazione di una delle europarlamentari che ho contribuito a far eleggere, e un po’ perché sono sinceramente interessata a veder nascere in Italia un soggetto politico che possa in qualche modo rappresentarmi e che, all’occasione, si possa votare senza provare vergogna per se stessi il minuto dopo.
E’ un percorso difficile e complesso, che nei giorni scorsi è passato per la conferenza di organizzazione di Sel, la settimana prima per l’assemblea nazionale di quel che resta de L’Altra Europa con Tsipras, che farà probabilmente tappa in Liguria dopo le tragicomiche primarie del PD e che non si concluderà a breve e non è nemmeno chiaro come si concluderà.

Quando pensavo a tutte quelle persone che conosco e di cui ammiro le competenze e la passione e che “da sinistra” vorrebbero cambiare questo Paese e però finiscono per affidarsi a Renzi e sedersi ai suoi inutili tavoli di esperti che resteranno inascoltati penso che li vorrei seduti a un tavolo con le persone che, con altrettanta passione, da mesi e da anni stanno faticosamente lavorando per creare in Italia uno spazio politico alternativo al mainstream delle larghe intese e del There Is No Alternative all’austerità. E quindi, cosa aspettano a mollare Renzi, che del There Is No Alternative ha fatto un programma di governo, nonostante i pugni che promette di sbattere sui tavoli qua e là? Cosa aspettano a raggiungerci e costruire con noi un’idea diversa di Italia e di Europa, di mondo?

Aspettano di intravedere, da queste parti, della credibilità. Aspettano che da queste parti si metta a frutto un’analisi non anacronistica della Rete e che, senza facili entusiasmi ma nemmeno con eccessivo scetticismo, se ne riconosca la strategicità e si comincino ad attrarre le migliori competenze e le migliori esperienze, nazionali e non. Perché c’è poco da fare: non siamo attrattivi. E finché non saremo in grado di attrarre le menti migliori, in ogni campo, temo che resteremo impantanati in lunghe assemblee in cui non mancano le enunciazioni di principi alti e condivisibili, ma che non riescono poi a incarnarsi nelle vite di chi il mondo che vogliamo cambiare cerca di cambiarlo ogni giorno.

Se noi domani, come Tsipras, vincessimo le elezioni e dopodomani formassimo un governo non faremmo quell’obbrobrio di Verybello. Il problema è che probabilmente non faremo nemmeno nient’altro, perché nel frattempo non saremo stati capaci di intercettare le intelligenze e le progettualità che esistono. E questo problema è più grande di quanto è brutto e sbagliato Verybello.

Ultima modifica ilMercoledì, 28 Gennaio 2015 23:30
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