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In Italia non si può più manifestare: ecco la mia storia

  • Scritto da  Lorenzo Baldino
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In Italia non si può più manifestare: ecco la mia storia

Venerdì sera ho preso un treno da Milano Centrale per cercare di raggiungere Taormina. Il mio obiettivo era seguire la manifestazione indetta per sabato pomeriggio alle 15.00 in contestazione al summit dei leaders del G7 che in quei giorni si teneva in città. Volevo scrivere un articolo sulla vicenda, raccontando la mobilitazione in toto.

Sono partito da Como verso le sei del pomeriggio, cambiando a Milano per le 19.30 circa e a Roma per le 23, dove ho preso l’InterCity Notte 1959 in direzione Siracusa. Mi ero organizzato in anticipo, sarei arrivato a Messina per le 8 del mattino di sabato, qui mi sarei unito ad alcuni amici siciliani per poi muoverci tutti insieme in Pullman verso la manifestazione. Avevo comprato già anche il biglietto per il ritorno, programmando di dormire una notte a Messina per ripartire domenica mattina. Con me avevo solo uno zainetto con all’interno un cambio di vestiti, una copia della Coscienza di Zeno di Svevo e una di Odio gli Indifferenti, la macchina fotografica, un taccuino e una Kefiah curda.

Arrivato alla stazione di Villa San Giovanni alle 6.30 del mattino circa, in attesa che imbarcassero il mio treno sul traghetto per farci attraversare lo stretto, sono sceso dal treno per fumare una sigaretta e prendere una boccata d’aria. Mentre fumo si avvicinano a me due agenti della Polizia Ferroviaria in divisa, che stavano perquisendo il treno prima di lasciarlo ripartire. Mi chiedono dove fossi diretto, ho cercato di restare sul vago, ma spiegando la mia intenzione di raggiungere Taormina per fare un servizio per il giornalino per cui scrivo. Non avevo nemmeno finito di pronunciare la parola “Taormina” che vengo interrotto, mi chiedono i documenti e cominciano a scansionare accuratamente la mia vita su dei palmari in loro dotazione. Mi domandano se avessi mai avuto “guai con la legge” e io, in tutta sincerità, rispondo che quando avevo sedici la questura di Como mi aveva notificato due segnalazioni per manifestazione non autorizzata. Mi fanno tirare giù dal treno il mio bagaglio e mi chiedono di accompagnarli in centrale. Chiedo di poter fare una telefonata prima di seguirli, per avvisare i ragazzi che mi aspettavano a Messina del mio ritardo, sentendomi rispondere che, semmai, “me l’avrebbero fatta fare più tardi dalla centrale”. La prima domanda che mi viene rivolta è: “senta, Baldino, lei deve scendere a fare questo articolo, ma che ne pensa politicamente di questo G7?”. Rispondo in modo vago e ignoro la domanda.

 

In centrale vengo perquisito. Gli agenti continuano a pormi domande delle più assurde, mi chiedono più volte se avessi addosso stupefacenti, se avessi precedenti per possesso di droga o se avessi addosso coltelli o simili. Io non avevo addosso nulla, quindi mi faccio perquisire. Mi fanno vuotare le tasche, lo zaino, la macchina fotografica, mi fanno abbassare i pantaloni e togliere le scarpe, lo stupore nel constatare che indosso calzini di colore diverso induce in loro il dubbio, tanto da domandarmi il perché di una così pericolosa scelta stilistica. Anche se la domanda sul sovversivo disappaiamento dei calzini non è forse la più strana che mi rivolgono durante quella perquisizione, visto che, poco dopo, mi chiedono di leggere la scritta sulla maglia che indossavo sotto la felpa (per la cronaca, una maglietta grigia di Breaking Bad). Mi fanno rivestire e sequestrano le due schede SD che mi ero portato per la macchina fotografica, la penna USB di Star Wars che avevo nello zaino, la Kefiah e un adesivo.

 

Mi fanno tornare in corridoio, dove mi chiedono di mettere il cellulare su un bancone, a vista, informandomi che “durante quella fase” non avrei “potuto” comunicare con l’esterno. Nel frattempo, non me lo dicono, ma mi accorgo che cominciano a piantonarmi. Non mi lasciano mai da solo, perfino quando chiedo di andare in bagno vengo scortato da un agente che mi aspetta fuori dalla porta.

 

Passano diverse ore e comincio a preoccuparmi, soprattutto perché fino a quel momento non ero nemmeno riuscito ad informare gli amici che mi aspettavano a Messina del fermo. Dopo 2-3 ore circa vengono a chiamarmi, mi restituiscono le due memorie SD e la penna USB, mi fanno firmare il verbale della perquisizione (dove era esplicitamente indicato che la perquisizione aveva dato esito negativo) e poi mi chiedono di firmare un verbale di sequestro. Già, perché la Kefiah e l’adesivo erano posti sotto sequestro. In quel momento entra un’agente che avverte i colleghi di aver appena fermato “altri tre pullman pieni di balordi”, a sua definizione.

 

Non mi oppongo nemmeno al sequestro di questi effetti personali, ero digiuno dalla sera prima, praticamente insonne e con qualcosa come 16 ore di treno sulle spalle. Da tre ore ero fermo in un corridoio, ad aspettare che mi si dicesse qualcosa, avrei voluto solo andarmene e saltare sul primo traghetto per Messina. Mi informano, tuttavia, che a causa di quei due “precedenti specifici” di cui io stesso li avevo precedentemente informati, mi devono portare all’ufficio dell’unità anticrimine della questura di Reggio Calabria. Non mi oppongo, prendo il mio zaino e mi fanno salire sul retro di un’auto della polizia di stato.

Penso che difficilmente scorderò la sensazione che ho provato passando per i corridoi della questura di Reggio Calabria. Scortato a vista dai due agenti della PolFer che mi avevano accompagnato, mai alle loro spalle, sempre in mezzo ai due. Qualunque agente mi incrociasse mi fulminava con lo sguardo, quasi fosse ormai evidente a tutti la mia natura da pericoloso terrorista sovversivo. Anche successivamente, parlando con gli ufficiali della DIGOS, non avrei potuto scollarmi quella sensazione di dosso: l’agente verbalizzante nemmeno mi guardava in faccia, nessuno si è mai rivolto a me chiamandomi per nome (per quanto ancora trattenessero il mio documento), mi chiamavano “questo qui” o “quello la”, a seconda della loro posizione rispetto alla mia sedia.

 

Passo, scortato, per una serie di corridoi male illuminati, fino ad un ufficio, dove mi fanno parlare con un agente dell’anticrimine. Ora, perché sia chiaro: al fermo in stazione a Villa San Giovanni mi avevano parlato di “piccoli accertamenti”, questione di “massimo un paio d’ore”, un agente aveva addirittura ipotizzato che potessi ripartire a bordo del treno sul quale ero stato fermato. Nessuno aveva mai parlato di respingimento, foglio di via o altro. L’agente della DIGOS si fa bellamente gli affari suoi per una mezz’oretta. Quando, finalmente, si rivolge a me, neanche mi chiama per nome, dice solo: “Allora, te ne ritorni a Como”. “Quando?”. “Ora, stiamo stampando il Foglio di Via, oggi non ci vai a Taormina”.

 

Sapevo già in cosa consiste un Foglio di Via Obbligatorio, tanto quanto so cosa implichi e in quali occasioni sia possibile darlo. Chiedo spiegazioni, cerco di capire come mai, nonostante la perquisizione negativa e tutto il resto, mi si stesse notificando quel provvedimento, per giunta grave. Con un Foglio di Via si vieta all’interessato di tornare nella città dov’è stato emesso per tre anni, lo si obbliga a lasciare immediatamente la città e a presentarsi, in un periodo di tempo stabilito dalla questura, dal questore della provincia di residenza per essere identificato.

 

Cerco di chiedere spiegazioni, ma gli agenti mi ammoniscono con il consueto tono a metà fra la spacconeria e la paternalistica con cui solitamente i pubblici agenti trattano i ragazzini, con le consuete velate minacce del caso. “Guardi Baldino, adesso io sto facendo anche quello simpatico, ma se continua a contestare [traduzione: chiedere spiegazioni] poi mi arrabbio”. “Baldino, lo stiamo facendo per lei, un paio d’anni e capirà”. “Ah, non sai perché ti stiamo notificando il foglio di via? Allora facciamo che domani invece che alle 10 ti devi presentare in questura a Como alle 8”. Un’agente mi dice perfino: “Questa cosa rimarrà per sempre sul tuo curriculum. Non sei preoccupato? Il tuo futuro lo stai costruendo adesso, avevi già due piccoli mattoncini a cui oggi hai aggiunto un grosso mattone”. Faccio pacatamente notare che a stare aggiungendo quel “grosso mattone” non sono certo io.

 

Mi consegnano il verbale, che leggo incredulo: sono definito “persona pericolosa per la sicurezza pubblica”. Questo perché, badate bene, due anni fa fui denunciato due volte per manifestazione non autorizzata. Denunce entrambe esaminate dal tribunale dei minori di Milano che a meno di un anno di distanza mi ha notificato la mia piena assoluzione, ambe due le volte, perché “il fatto è irrilevante”. Esistono quindi due documenti pubblici che attestano il fatto che non sono una “persona pericolosa per la sicurezza pubblica”.

 

Finito tutto erano le 11.30 circa, mi riaccompagnano in stazione e mi lasciano lì, solo in quel momento ho la possibilità di sentire i miei parenti, i miei amici di Messina e un legale.

 

Ora sto studiando come poter fare ricorso alla Prefettura di Reggio Calabria. Il Foglio di Via preventivo che mi è stato somministrato è privo di qualunque fondamento giuridico. Non è giustificabile, non esistono precedenti effettivi che portino a sospettare che avessi potuto commettere reati. Nessuna motivazione palese, se non una: impedirmi di partecipare alla manifestazione. È terrificante quanto è successo in questi giorni a Taormina: solo sabato mattina fino alle ore 11 so di altri 22 fogli di via somministrati dalla questura di Reggio Calabria. I provvedimenti applicati dalle forze di polizia in questi giorni escono completamente dai confini della semplice gestione dell’ordine pubblico, ciò che è stato applicato è una deliberata sospensione della democrazia e dei diritti costituzionali. Si è impedito fisicamente e giuridicamente a persone insospettate e innocenti di veder garantito il loro diritto a manifestare. Ma di più, si è operato ciò non indiscriminatamente, ma in base all’appartenenza politica. Io oggi mi ritrovo ad avere un provvedimento a carico di una certa pesantezza, che mi impedisce di tornare a Villa San Giovanni per tre anni, che resterà nel mio curriculum, con l’unica colpa di aver provato a raggiungere Taormina. La gravità della situazione non risiede solo in una questione di puro principio, il mio specifico Foglio di Via è evidentemente contestabile, ma ancora più importanti sono quelli somministrati agli altri ragazzi fermati: stiamo estendendo una misura di intervento straordinaria alla normale prassi per limitare, come se nulla fosse, l’inalienabile diritto al dissenso e alla sua manifestazione.

 

Questo è lo stato “forte” dell’epoca Minniti, uno stato che non si fa problemi a sospendere i diritti costituzionali del cittadino per difendere i potenti della terra, ma che scompare quando ad attaccare sono la mafia, le speculazioni, gli spacciatori.

Forte con i deboli, debole con i forti. Benvenuti nell’era Minniti.

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