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Non ve lo meritate, Giorgio Bocca

È morto il giorno di Natale, Giorgio Bocca, e probabilmente potendo l'avrebbe fatto apposta, ci si sarebbe divertito, a guastare con un rigurgito amaro il pacioso rituale familiare dell'italica abbuffata.
La verità è lui li odiava, gli italiani, e non ha mai fatto niente per nasconderlo. E, sapete cosa? Aveva ragione.

Come dargli torto, a leggere le polemiche e gli insulti di questi giorni che ne fanno un “omofobo razzista”? Come dargli torto, se gli italiani sono in grado di scrivere che Bocca militò nei “Fasci di combattimento” (falso), che fu tra gli “estensori del manifesto degli scienziati razzisti” (falso), che si rifece “una verginità militando (per quanto tempo? per tre mesi?) nella Resistenza piemontese” (falso).

È evidente: anni di berlusconismo e antiberlusconismo hanno prodotto una cultura del rancore perpetuo e della malignità permanente, in cui il genere giornalistico della raccolta di citazioni estemporanee, su cui Gian Antonio Stella e Marco Travaglio hanno costruito carriere di successo, è messo al servizio dell'incessante ricerca/creazione del nemico, del mostro, del falso moralista e rivoluzionario che, in fondo, è un incoerente corrotto arrivista come tutti gli altri.

“Ma che siamo in un film di Alberto Sordi?” domandava Nanni Moretti in Ecce Bombo. Sono passati più di trent'anni, eppure sembra che l'opinione pubblica italiana abbia ancora la stessa necessità di personaggi ambigui in cui riconoscere i propri difetti e autoassolversi, perché in fondo lo facciamo tutti per la famiglia, tangentisti e serial killer compresi, e tutti amiamo il calcio e le belle donne e il pranzo di Natale, e non tolleri invece qualcuno che, anche in maniera arrogante ed esagerata, le sbatta in faccia la cruda realtà.

Il fatto è che i “cimiciai” intorno al Vesuvio di cui parlava Bocca ci sono, e non c'è napoletano che conosca che non passi la vita a vergognarsene e a cercare di cambiare quella sua benedetta città. Ma  sentirlo dire in tv, con quel sorrisetto sprezzante da snob piemontese, è troppo, per i nostri intellettuali della Magna Grecia in servizio permanente.

È che Bocca era davvero insopportabile, con questo non voler accettare una parte in commedia, con questo gettarsi fino in fondo in qualsiasi avventura gli facesse intravedere una possibilità di redenzione per quest'Italia marcia che odiava, dalla Resistenza alla Lega passando per il Berlusconi imprenditore. L'ultimo capito de Il provinciale si intitola “La patria alpina”, e racconta di come il Giorgio Bocca degli ultimi anni della Prima Repubblica amasse passare il confine con la Svizzera per godersi un mondo pulito, ordinato ed efficiente, in cui finalmente ci si potesse sentire a casa.

Un'odiosa provocazione? Può darsi. Fatto sta che lui a cambiare l'Italia ci aveva provato, e piuttosto radicalmente Dal 1943 al 1945, Giorgio Bocca ha fatto il partigiano. L'ha fatto da ufficiale, comandante di divisione. Credeva di poter riscattare nel sangue una nazione che considerava corrotta nelle fondamenta. “Insorgere, risorgere!” era il motto scelto da Emilio Lussu per Giustizia e Libertà, di cui Bocca faceva parte, ed è proprio la speranza che l'insurrezione di un popolo ne generasse la resurrezione ad aver spinto Bocca e tanti altri a rendersi renitenti alla leva di Salò, entrare in clandestinità, prendere un fucile, salire in montagna e passare due anni della propria sua vita ad ammazzare e a rischiare di essere ammazzati.

Aveva torto a dire quello che ha detto, in tv, a 90 anni passati? Le frasi su Napoli e il sud sono state arroganti e offensive? Probabile, ma Giorgio Bocca ha fatto il giornalista dal 1946 al 2011. Fanno 65 anni di carriera, svariate centinaia di migliaia di articoli (1664 dei quali disponibili gratuitamente su Repubblica.it, tra l'altro), decine di libri (144 dei quali in vendita su Amazon). In un mondo di opinionisti, lui ha fatto il giornalista, non badando troppo a tenere sotto controllo le proprie opinioni. State tranquilli, ché quando morirà Pigi Battista non ci saranno provocazioni da rinfacciargli.

Se voi, di fronte alla morte del più grande giornalista italiano, non lo elogiate per la battaglia innocentista sul 7 aprile e non lo criticate per la superficialità sul caso Vajont, ma sapete solo citare a pappagallo le due frasette che ha detto da Fazio e che qualcuno vi ha linkato su Facebook cinque minuti fa, se godete della vostra mediocrità, se non vi siete mai sforzati di essere migliori di quello che siete o almeno delle caricature che fanno di voi, se vi offendete quando vi descrivono come una mandria di vittimisti dediti alla sceneggiata e poi, alla morte di Giorgio Bocca, vi stracciate le vesti proclamandovi vittime, beh, allora non ve lo meritate Giorgio Bocca.

Se quando qualche insopportabile spocchioso come Giorgio Bocca vi indica offensivamente la macchia sulla camicia, voi, invece di vergognarvi e pulirla, strepitate contro il suo tono, allora è voi che lui odiava, e aveva ragione lui.

Ultima modifica ilMercoledì, 28 Dicembre 2011 20:30
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