Vincenzo De Luca: da Salerno alla Campania, l'impero oltre il ventennio
- Scritto da Federico Esposito e Marco Mastandrea
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Il primo marzo si sono svolte le primarie del Partito Democratico per le elezioni regionali in Campania. Il risultato ha visto prevalere Vincenzo De Luca su Andrea Cozzolino: 52 a 44 il distacco in percentuale di voti. Nella provincia di Napoli hanno votato 65mila persone, mentre nel capoluogo salernitano, con un bacino elettorale tre volte inferiore, ben 50mila elettori hanno partecipato alla contesa per la leadership del centrosinistra. De Luca, ormai ex sindaco e neo candidato governatore, è stato condannato in primo grado per abuso di ufficio ed è decaduto dalla carica di sindaco per incompatibilità, per aver ricoperto al contempo il ruolo di viceministro nel governo Letta.
Chiamatelo come volete. Chavez della Campania, fasciocomunista, sceriffo, Pol Pot. Da “Vicienzo la fontana” ad amico della Lega, il Leone e “'o prufessore”. La sfilza di soprannomi accumulati negli anni è riferita a una singola persona: Vincenzo De Luca, sindaco decaduto di Salerno e candidato del Partito Democratico alla presidenza della Regione Campania. Personaggio divisivo e accentratore, De Luca negli ultimi vent’anni ha lavorato per estendere il personalissimo feudo costruito da Salerno fino alla provincia intera. Con la vittoria alle ultime primarie punta a trasformare il feudo in impero, con tanto di trono a palazzo Santa Lucia, città di Napoli, per assicurarsi la guida del partito regionale e maturare l’energia sufficiente per incidere in modo significativo sugli equilibri dem nazionali.
Yes We Cienz. A leggerne la biografia sembrerebbe l’ultimo baluardo della sinistra dura e pura: laureato in filosofia, studioso di Marx, in lacrime dinanzi al feretro di Togliatti, suonatore di chitarra - una canzone su tutte, Bandiera Rossa. Migrato ancora bambino da Ruvo del Monte, piccolo paese in provincia di Potenza, si iscrive ben presto alla sezione salernitana del Partito Comunista Italiano. Il suo peggior nemico interno negli anni settanta è Antonio Bassolino. E nemici resteranno negli anni ottanta, poi nei Democratici di Sinistra e ancora nel Partito Democratico. Una rivalità storica, che ha segnato il destino della sinistra campana per circa trent'anni. De Luca ha iniziato la sua guerra contro Bassolino e i bassoliniani molto presto. Ha macinato consenso e alimentato guerre tra bande. Ha offeso e giocato sporco, inasprito lo sterile campanilismo tra Napoli e Salerno. E alla fine ha vinto, proprio contro un bassoliniano di ferro, Andrea Cozzolino. Con una possibile sospensione in caso di elezione, come previsto dalla Legge Severino, e una decadenza da sindaco per aver ricoperto allo stesso tempo l’incarico di viceministro, Vincenzo De Luca avrebbe potuto ritirarsi dalla competizione, come sperava il Partito Democratico intero e lo stesso presidente del Consiglio Matteo Renzi. Abbandonato da chi dovrebbe sostenerlo, Vincenzo De Luca è in buona compagnia solo con se stesso, ama le sfide in cui tutti sono contro di lui. E soprattutto le vince. Quasi sempre. La rivincita su Bassolino è solo la prima; il prossimo nemico da battere è l’attuale governatore della Campania, Stefano Caldoro, che lo ha già sconfitto alle ultime elezioni regionali nel 2010.
Un democratico. Appare paradossale ma, per comprendere cosa significhi una “gestione stalinista” di un partito, bisogna guardare a De Luca. I numeri del Pd a Salerno sono evidenti. Il sindaco alle primarie regionali ha sfondato quota novanta per cento. E non è la prima volta che le sue indicazioni di voto raggiungono percentuali bulgare: Renzi ha vinto le primarie con il 97 per cento dei consensi, appena un anno prima le vinse Bersani con più del 70 per cento. E naturalmente il sindaco era una volta con l'uno e una volta con l'altro. La quasi totale capacità mobilitante del voto non è l’unica dimostrazione di forza deluchiana. È il caso del 2009, quando deve definirsi la piccola segreteria provinciale dei Giovani Democratici. Con un congresso riconvocato dalla maggioranza bassoliniana presso il Polo Nautico che non ha modo di compiersi perché un nutrito gruppo di scagnozzi scende da diverse auto delle municipalizzate salernitane e impedisce fisicamente l’ingresso ai giovani del partito, sequestrando molti militanti all'interno del palazzo. In quell'occasione qualcuno aveva detto: “Oggi il congresso non si fa. Questa è Salerno, qua comanda De Luca. Ve ne dovete andare e basta”. E così è stato.
Santo patrono. La forza dirompente del candidato alla Regione per il centrosinistra esibita nel partito è comunque poca cosa. Le sue prove muscolari talvolta eccedono. Lo sa bene San Matteo, l’evangelista patrono della città di Salerno, che da anni riceve meno applausi di De Luca durante la processione. Lo scorso 21 settembre si verifica un nuovo clamoroso episodio: dopo mesi di tira e molla tra l’Arcivescovo che nega l’inchino della statua santa all’interno del Municipio e De Luca che non partecipa alla processione, i “paranzieri” - i devoti - ignorano le disposizioni del prelato, gestendo autonomamente la processione e conducendo il Santo oltre le porte di Palazzo di Città, miracolosamente aperte. Morale della storia degna di un’opera di Guareschi: l’arcivescovo abbandona la processione e il sindaco dimostra chi comanda. Che te ne fai di Peppone e don Camillo?
Eppure gli inizi della carriera di De Luca con la fascia tricolore furono ben diversi. La gente ironizzava ma si mostrava compiacente di fronte alla costruzione di parcheggi, rotatorie e soprattutto fontane, fontane, fontane ovunque, anche a mare. Orpello necessario per il sindaco. Vicienzo 'a funtana, per l’appunto, è stato amato dai salernitani, ha mostrato passione e rigore nei primi due mandati a sua disposizione e ha promosso la riqualificazione dei quartieri periferici, chiuso al traffico il centro storico e all’insegna dell’ordine e della sicurezza ha saputo coltivare il senso di civiltà basso borghese del cittadino. La sua forza per buona parte del suo ventennio municipale è stata quella di far leva sull’odio nei confronti dei napoletani, di Napoli e di tutti i pregiudizi che il capoluogo campano porta con sé nell’immaginario collettivo. Il gioco retorico del sindaco sembra un coro da stadio: noi non siamo come i napoletani. Loro hanno i rifiuti in strada? Bene, allora noi facciamo la raccolta differenziata porta a porta. Loro hanno la metropolitana? E perché noi no allora? Ebbene sì, perché il sindaco De Luca ha sempre fatto una battaglia contro i “cafoni” e stuzzicato le ambizioni dei salernitani fino al 2009, stimolando l’astio nei confronti dei cugini. Ma Napoli è fondamentale per espandere l’impero. E allora meglio costruirsi nuovi nemici.
Salerno ai salernitani. Il quarto mandato (non consecutivo) è stato all’insegna delle sceriffate. Il sindaco, in prima persona, fa le multe alle auto poste in doppia fila e sequestra il Super Santos ai bambini che giocano in piazza. È uno strumento di consenso che talvolta può scappare di mano. La storia la conoscono tutti a Salerno. È mezzogiorno di una giornata calda in autunno iniziato, l’ora di punta, quando le signore si affrettano a ultimare la spesa e attendono in fila composta alla cassa. Il supermercato di via Luigi Guercio è tutt’altro che popolare nei prezzi e si fanno buone mance. Un immigrato prende in consegna i carrelli o accompagna le signore affaticate dalle pesanti buste della spesa fino a casa per qualche spicciolo. Un ragazzo integrato che non fa del male a nessuno, anzi, nel quartiere è benvoluto da tutti, fino a quando: “Signori, per cortesia, andate se no ve li lasciamo tutti qua”. È il sindaco De Luca, per la sua sceriffata settimanale ha puntato proprio il ragazzo sorridente e cordiale, conosciuto da tutti in zona, e invita gli agenti della Municipale a spingerlo con la forza in caserma. Gli abitanti non sono d’accordo. De Luca sbotta e inizia a urlare: “Sapete se è un delinquente o meno?”; “Ma è un mese che sta qua” con tranquillità risponde un cittadino. “Cose da pazzi. Ci vuole solo che vi sparano addosso”. E tra le urla del sindaco e dei contestatori, i vigili con forza accompagnano il malcapitato in auto. Insomma, non sempre la sceriffata va a buon fine, Ma peggio vanno, per il sindaco, le sue idee di grande urbanista.
La tomba del faraone. Il gioco retorico è semplice anche in questo caso: due palme ed ecco la città giardino; due luci natalizie e consegnata la città turistica; tante gru e quanti cantieri ed è in atto la più grande trasformazione urbanistica della storia d’Europa. Insomma, tutto funziona, fino a quando per antinapoletanità vuole costruire una piazza più grande, che deve misurare “un passo in più” di Piazza del Plebiscito. Piazza della Libertà bisogna chiamarla e il sindaco confessa: “mi piace immaginare l'urna con le mie ceneri posta al centro di questa piazza sul mare". Il Faraone di Salerno non si pone limiti. E sfida anche la capitale: “Non abbiamo il Colosseo. E allora dobbiamo pensare a realizzare qualcosa che sia il nostro Colosseo”. La megalomania prende il sopravvento ed ecco che la vista sulla splendida costiera amalfitana viene deturpata da un palazzone semicircolare alto 28 metri e largo 300. L’opera è stata commissionata a Ricardo Bofil, erede di Boris Iofan, architetto prediletto da Stalin. Ma già nel 2012 subisce un crollo. Il sindaco per la costruzione della piazza viene rinviato a giudizio con le accuse di falso ideologico, abuso d’ufficio e lottizzazione. I ministeri dei Beni Culturali e dell’Ambiente si costituiscono parte civile e denunciano l’occupazione illecita di una quota di suolo demaniale, criticando la realizzazione in sostanziale assenza della prescritta autorizzazione paesaggistica/ambientale.
Ed è così che la grande trasformazione urbanistica di De Luca nel suo complesso appare una pura ed evidente opera di cementificazione. In città durante la sua gestione sono stati costruiti 20mila nuovi vani. Un paradosso, visto che Salerno ha perso 30mila abitanti negli ultimi 25 anni.
Libertà è partecipazione. De Luca ha poi costruito una rete di amanti fissi che non lo abbandonano in nessuna circostanza. Sono i vecchi parcheggiatori abusivi oggi con la pettorina di “Salerno Mobilità”, gli ex pregiudicati riabilitati nella municipalizzata “Salerno Pulita”, gli abitanti del Centro Storico che hanno visto il boom dei valori immobiliari in seguito alla riqualificazione, le storiche famiglie di costruttori come gli Ilardi, i Rainone e i Postiglione. Anche i quartieri popolari lo venerano per la sicurezza e la riabilitazione di zone un tempo degradate. Un consenso trasversale, quello del sindaco, che lo induce a tagliare metri e metri di nastri per la città accompagnando con toni degni da miracolo anche l’edificazione di un marciapiede nell’isolato più sconosciuto. Ha instaurato in più di vent’anni un sistema di potere gestito dai suoi fedelissimi tramite una infinita schiera di società partecipate del Comune, dai lavori pubblici all'ambiente. E tramite esse controlla ogni aspetto della vita salernitana, con un rimando di competenze e una non sempre chiara definizione dei controllati e dei controllori. De Luca ha finito col creare un meccanismo di controllo e governo del territorio con una rete di incarichi e organismi direttamente da lui dipendenti, una ragnatela che tesse il filo del consenso dell'uomo che ha cambiato Salerno e che ora corre di nuovo per Palazzo Santa Lucia.
Frullino, sei il mio battito d'ali. Come dimenticare queste parole pronunciate dal sindaco ad una trasmissione locale contro chi imbrattava i muri della città. Una occasione, anche quella, per tingere di ridicolo chi non la pensa come lui, chi fa cose che per lui non sono né in cielo né in terra. Del resto, Vincenzo De Luca è un affare se non ti opponi. Anna Ferrazzano, sua rivale alle scorse elezioni comunali in quota Pdl, è diventata una sua fedelissima al punto da votarlo alle primarie per la candidatura regionale. “Dobbiamo fare anche l’opposizione di noi stessi” disse in passato il sindaco. E purtroppo è vero. Chi prova a opporsi viene bollato come “nemico di Salerno”, “sfessato”, “iettatore”, “saltimbanco”, “cafone”, “falloforo”. “La principale testimonianza di imbecillità e di cafoneria è nelle redazioni dei giornali locali”, del resto, ed è “meglio acquistare una zeppola che un quotidiano, se ne acquista in salute”. Se è meglio mangiare che comprare un giornale quando può risultare scomodo, l'acume della gentilezza viene raggiunto sul tema degli immigrati: “Io smonto dei campi rom e me ne frego di quella gente dove va a finire. Li prendo a calci nei denti, il cielo stellato ce lo godiamo noi”. Salerno ai suoi nativi, insomma. Peccato che lui sia lucano. Sul turismo, va aggiunto che il ventennio deluchiano ha portato a un logo commerciale della città. Una discussa “esse” disegnata da Massimo Vignelli, che in aggiunta alle spese di comunicazione è costata circa 200mila euro.
Gabbie ed imperi. Il marketing e le innovazioni di immagine non possono compensare l’imbarbarimento della politica sedimentatosi in città, dove l’offesa e lo sberleffo sono routine quotidiana. Le opposizioni o si comprano o si offendono, tutti gli aspetti associativi, culturali e eventistici devono essere nelle mani del Comune e ogni giorno bisogna fare i conti con un fastidiosissimo divieto di fare musica e spettacoli in strada.
La megalomania del ventennio ha comportato l’incredibile ricerca dell’eccesso. Il “di più” del necessario è l’imperativo. L’adorabile superfluo e l’incontrollabile mania di grandezza hanno portato una piazza a crollare su se stessa e Salerno sognarsi senza motivi concreti una grande città europea. La campagna “cafoni zero” ha messo i cittadini l’uno contro l’altro. Dividi et impera. Il ruggito del leone ha chiuso una piccola città in gabbia con promesse di grandezza e narrazioni tossiche. A maggio forse l’impero potrà anche crescere. Ma la gabbia sarà sempre più piccola.