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I disoccupati non sono un gioco: facciamo chiarezza sui dati

I disoccupati non sono un gioco: facciamo chiarezza sui dati

La gestione della crisi da parte del Governo Renzi fallimentare nei fatti, al pari di quelli precedenti, e la disonestà intellettuale degli stessi organi di governo e partito mostrano la pochezza della nostra classe dirigente. Ieri l’Istat ha diffuso i dati relativi all’andamento del mercato del lavoro e fin dal mattino ci siamo trovati sommersi da titoli e tweet (qui quello del consigliere economico del PD) che propagandavano i risultati postivi dell’azione di governo.

I dati sono riassunti nella tabella qui sotto e ci dicono che a settembre 2014 rispetto ad agosto 2014 sono aumentati sia gli occupati sia i disoccupati, mentre diminuiscono gli inattivi ovvero coloro che non cercano lavoro.

tabella-disoccupazione

In questi dati c’è molto da capire e nulla per cui gioire o fare propaganda ingannevole!

Gli occupati infatti, secondo la definizione Istat, sono coloro che nella settimana della rilevazione hanno svolto almeno un’ora di lavoro che prevede un corrispettivo monetario o in natura (cioè sei occupato anche se ti offrono un panino per il pranzo come corrispettivo) o coloro che hanno svolto almeno un’ora di lavoro anche non retribuito nell’azienda familiare.

Ma ad aumentare sono anche i disoccupati soprattutto perché la quota delle persone che cercano lavoro (ma raramente lo trovano qualunque esso sia) è in aumento, in disperato aumento (come mostra la riduzione del tasso di inattività). Qualcuno crede bisogna esser contenti se i disoccupati aumentano perché c’è gente che si è rimessa in moto ed è pronta ad andare a lavorare. Ma questi qualcuno non si interrogano mai sul perché quelle persone decidano di cercare lavoro, piuttosto che continuare a studiare (se in età scolastica), come del resto non ci si chiede se una maggiore ricerca di lavoro sia eventualmente dovuta alla sempre più beve durata dei contratti a zero tutele in caso di licenziamento (o dimissioni forzate).

D’altro canto anche l’aumento del numero di occupati non indica automaticamente che le condizioni del mercato del lavoro migliorano. Statistiche sintetiche non ci dicono infatti se il numero di occupati rispecchia un aumento delle ore lavorate e quindi un aumento effettivo della domanda di lavoro, così come non ci dicono a che condizioni avvengono eventuali variazioni dell’occupazione.

Facendo riferimento ad altri dati pubblicati sempre nella giornata di ieri dall’Istat, e relativi alle condizioni dell’economia italiana e al mercato del lavoro, è evidente ancora una volta che il mercato del lavoro è in difficoltà, la produzione langue.

Le ore di cassa integrazione autorizzate a settembre sono aumentate del 13,7% rispetto a settembre dell’anno scorso, mostrando di fatto una riduzione delle ore effettivamente lavorate. Un fenomeno, quello della sottoccupazione che non riguarda solo i contratti a tempo indeterminato, ma anche quelli che un tempo definivamo atipici: come riporta la CGIL “nell’ultimo trimestre oltre 400mila nuove attivazioni di un solo giorno di durata!” peggiorando il quadro già desolante del 2013 in cui il 45% dei contratti a tempo determinato hanno una durata massima di un mese.

A ben vedere ciò che manca è il lavoro, decisione che non può essere delegata al settore privato. Un settore privato che non ha nessun incentivo ad investire perché la domanda di consumi delle famiglie è in continua stagnazione, ma anche perché per sostenere la propria produzione e non rischiare di intaccare i propri profitti può contare sulla svalutazione del lavoro decretata da ultimo dal Decreto Poletti.

I lavoratori infatti non vedono nessun miglioramento delle proprie condizioni occupazionali, le imprese invece sì, perché sfruttando i contratti a tempo determinato, gli stage o i tirocinii a basso costo se non gratis (Garanzia Giovani) possono sostenere la produzione senza alcuna responsabilità. Ne è conferma l’andamento delle retribuzioni orarie e per dipendente che rispetto all’inizio dell’anno frenano, dimuinuendo dello 0.3% rispetto a gennaio 2014. Non migliora neppure il potere d’acquisto delle famiglie (nonostante la scarsa inflazione) che rispetto a un anno fa diminuisce ancora dell’1.5% (figura sott), mostrando quindi che la riduzione del reddito disponibile delle famiglie diminuisce più velocemente dell’inflazione. (Nota mensile Istat ottobre).

Ma ben prima del giudizio morale verso un governo che disprezza la classe lavoratrice e di tutto sta facendo per incitare l’odio verso il basso, come dice Gabbuti, è utile sottolineare che i dati riportati, seppure non esaustivi, mostrano il disperato tentativo delle persone più o meno giovani di sfuggire, vanamente, al rischio di povertà, rincorrendo e accettando qualsiasi lavoro.

#bastaslogan #bastacazzate e soprattutto NoJobsAct, perché i nostri diritti non sono un gioco. L’ Italia ha bisogno di nuovi posti di lavoro attraverso investimenti pubblici in piccole opere, in ricerca e sviluppo; di stabilire una politica industriale credibile e non indirizzata al monopolio o alla svendita di interi settori produttivi. E’ necessario che attraverso l’intervento pubblico lo Stato si faccia carico di soddisfare una domanda di beni e servizi in essere che il settore privato non può e non sa soddisfare.

Ma nel garantire la creazione di lavoro, lo Stato non può esimersi dal creare un piano di sostegno al reddito credibile e non caritatevole che liberi gli individui dalla ricattabilità e dal rischio di deprivazione materiale dovuta a condizioni di povertà.

L’Italia non ha bisogno di spazi pubblicità, né di leggi che naturalizzano la disonestà intellettuale di chi sbandiera come risultato positivo il lavoro a chiamata, il lavoro gratuito, disprezzando di fatto il lavoro.

 

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