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Il nuovo governo Netanyahu e i ricatti dell’ultra-destra.

  • Scritto da  Enrico Campelli
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Il nuovo governo Netanyahu e i ricatti dell’ultra-destra.

“Nel paradossale sistema parlamentare israeliano, che si regge su governi di coalizione, c’è solo una cosa peggiore del perdere le elezioni, ed è vincerle”.

Le parole del 6 Maggio scorso di Nahum Barnea sono le migliori per comprendere il complesso momento della politica israeliana, attrice protagonista di tutto lo scenario mediorientale.

Quasi allo scadere del tempo a sua disposizione, quando oramai mancavano poche ore alla fine del suo mandato esplorativo, Benjamin “Bibi” Netanyahu è infatti riuscito, in extremis, a formare un governo.

Dopo le passate elezioni, che avevano visto il quadro politico israeliano più frammentato che mai, con la rivoluzionaria nascita della Lista Congiunta araba (unione di molti piccoli partiti arabi e misti arabo-israeliani, divenuto il terzo partito del paese) e l’universo dei piccoli partiti devastato da un Netanyahu vorace e vittorioso, il compito di formare un governo sembrava una questione solo apparentemente facile, anche a causa delle divisioni interne al fronte religioso e alle accese rivalità tra partiti laici e non.

A complicare le cose al leader del Likud negli ultimi giorni ci si è messo anche il suo ex alleato Avigdor Lieberman, leader del partito di destra laica Ysrael Beitenu, che ha improvvisamente deciso di non essere al fianco di Netanyahu con i suoi 6 seggi nel prossimo governo: una decisione inattesa, figlia forse del desiderio di rivalsa dopo che nella campagna elettorale le mosse di Netanyahu avevano indebolito enormemente il partito guidato dal falco di origine moldava.

In un simile scenario, complicato ulteriormente dalla fuga di notizie circa le negoziazioni segrete con la leadership palestinese, a Netanyahu è rimasta la scelta obbligata di una maggioranza di soli 61 parlamentari sui 120 della Knesset, il parlamento monocamerale israeliano.

Una maggioranza appesa ad un filo sottilissimo dunque, ostaggio del vero protagonista di queste giornate: Naftali Bennett, leader del partito ultranazionalista religioso Habayt Hayehudi e vicino alle posizioni dei settlers.

Bennett ha immediatamente capito di poter alzare il tiro delle sue pretese con un Netanyahu senza alternative, ed è riuscito, nonostante sia passato da 12 parlamentari ad 8, ad ottenere tre dicasteri. (Giustizia, Educazione ed Agricoltura)

Proprio la nomina del nuovo Ministro della Giustizia è la conseguenza più tragica della formazione di questo nuovo governo israeliano: Ayelet Shaked, tristemente nota per le sue posizioni estremiste, violente ed apertamente razziste, ha ricevuto l’incarico tra le moltissime (e più che giustificate) proteste della società civile israeliana, causando addirittura dei mal di pancia anche tra le file degli alleati del Likud, che definiscono la nomina di Shaked una vera e propria “estorsione”.

Quel che è certo è che un simile scenario, dove basterà anche solo un colpo di tosse per causare una crisi di governo, non potrà, fortunatamente, avere vita lunga.

Se è vero infatti che la storia di Israele è costellata di maggioranze estremamente risicate e addirittura di governi di minoranza, è anche da ricordare che tali situazioni godevano di un Primo Ministro forte e trasversale, caratteristica che certo non può essere accostata al Netanyahu attuale, che dimostra ancora una volta, senza che ve ne fosse bisogno, la limitatezza dei mezzi rimastigli.

Un governo, quello appena nato, che sarà vittima di razzismi ed estremismi pericolosi, e dove sarà difficilissimo conciliare le posizioni delle diverse anime che lo compongono. (Una battaglia caldissima sarà per esempio quella riguardante la legge sulla leva obbligatoria e sull’abolizione dei sussidi sociali per i cittadini ultra-ortodossi, introdotta dall’ultimo governo Netanyahu dopo le forti pressioni dei partiti laici, che ora i partiti ultraortodossi della maggioranza vogliono abrogare)

Il “nuovo” Primo Ministro si troverà dunque a fare i conti con una maggioranza eterogenea e con numeri che definire esigui è davvero generoso, mentre le opposizioni, arabe ed israeliane, staranno alla finestra, ad attendere le probabili vicine elezioni.

Nonostante sia quindi legittimo pensare che il prossimo esecutivo non possa che avere vita breve, a pagare le spese di una tale situazione sarà la vita quotidiana di israeliani e palestinesi la speranza di una convivenza pacifica, di un congelamento effettivo degli insediamenti in Cisgiordania ed il rilancio di un concreto processo per una pace giusta e duratura.

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