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Europa: tornano i barbari?

  • Scritto da  Salvatore Romeo
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In questi giorni così confusi e convulsi varrebbe forse rivedere un film di qualche anno fa: De Reditu (Il viaggio), trasposizione cinematografica di quella che è considerata l'ultima opera dell'antichità classica. Direte “che c'entra una vicenda così lontana nel tempo con quello che stiamo vivendo?” Ci sono analogie storiche che spiegano il presente molto meglio di tante statistiche.

L'autore-protagonista, Rutilio Namaziano, alto funzionario dell'Impero, racconta il suo viaggio di ritorno nella sua terra d'origine, Tolosa. Ma non è la nostalgia a muoverlo, bensì un preciso progetto politico: radunare forze sufficienti per ordire una congiura, proclamare un nuovo Imperatore e restaurare l'ordine della Res Publica. Quella di Rutilio è tuttavia un'illusione ed egli stesso è una figura che è sopravvissuta al suo Mondo. 

Europa mappa anticaCorre l'anno del signore 415, finite sono tutte le convenzioni sociali, gli schemi culturali e persino gli stilemi linguistici in cui l'autore si è formato. Lo scenario che lo circonda è desolante: i Barbari imperversano, mettendo a rischio la sicurezza delle genti dell'Impero; i Cristiani negano risolutamente le virtù civiche della Res Publica in nome della redenzione dell'individuo; la stessa struttura dello Stato ormai non esiste più: l'Imperatore si è rinchiuso nella corte di Ravenna, mentre il territorio è di fatto controllato dai singoli potenti che, forti di milizie private, si arrogano a signori. Quello che è andato irrimediabilmente perduto è il senso del pubblico, cioè l'idea che gli uomini possano stare insieme in qualcosa di più ampio della rispettiva sfera privata, un qualcosa che ingloba le relazioni sociali, conferendogli norme e significati. Per molti secoli questa idea sarebbe rimasta soltanto sui testi degli autori classici faticosamente recuperati nelle Abbazie di tutta Europa, prima di essere riscoperta e riproposta nella prassi politica dagli intellettuali dei Comuni. La costituzione materiale dell'Alto Medio Evo si basò invece sul legame strettissimo fra proprietà e autorità. Chi disponeva di mezzi militari in abbondanza poteva garantirsi mezzi di sussistenza a loro volta cospicui, e viceversa. I rapporti di forza fra signore e subalterni erano segnati dunque dalla dipendenza economica e dalla violenza. Lo sforzo di evoluzione civile che va sotto il nome di “modernità” è consistito in un lungo tentativo di riportare una nuova separazione fra potere politico ed economico, attribuendo allo Stato la prerogativa sul primo. Questa configurazione oggi viene radicalmente messa in discussione.

Il nucleo di tale ridefinizione passa attraverso la rinuncia alla sovranità da parte degli Stati europei in favore di istituzioni che operano sulla base di precisi vincoli e precetti economici. Il governo della società finirebbe così per essere ispirato da tali principi, con esiti presumibilmente nefasti per la vita di milioni di persone. Infatti le Costituzioni approvate nel secondo dopoguerra riconoscono come obbiettivi socio-economici che gli Stati si impegnano a perseguire la piena occupazione e il benessere; di contro, nello statuto della BCE – che diventerebbe l'organo fondamentale della nuova costituzione materiale europea – la sola finalità indicata è la stabilità dei prezzi, che può essere conseguita anche con bassi livelli di reddito e occupazione. 

 Ma tale situazione farebbe esplodere il peggiore incubo che al momento funesta i sonni dei contabili europei: l'insostenibilità del debito pubblico. Infatti anche loro finalmente sembrano essersi resi conto che la bassa (o mancata) crescita tende a far aumentare il rapporto debito/PIL non solo per via del declino di quest'ultimo, ma anche perché la recessione determina minore gettito fiscale e maggiori spese in sussidi e dunque tende a far crescere la massa del debito. Ma per superare questo ostacolo le soluzioni che essi avanzano sono paradossali: da una parte, per contenere l'aumento delle spese, si deve continuare a smantellare quel che resta del welfare; dall'altra, per sollecitare la competitività delle imprese (e dunque la crescita), occorre ridurre ulteriormente il costo e le tutele del lavoro. In questo modo però si otterrà gioco forza un declino della domanda (pubblica e privata), con esiti recessivi che non solo aggraveranno il peso del debito, ma trasformeranno la stessa competizione fra imprese europee in un gioco a somma zero, con riflessi sui rapporti politici (e militari) fra gli Stati che non osiamo neanche immaginare. In definitiva si verrebbe a configurare un disordine sistemico.

Gli effetti sulla vita delle persone in un contesto del genere saranno, se possibile, ancora più pesanti. Cos'altro è infatti il welfare se non un insieme di strumenti concreti (sanità, istruzione, pensioni, case popolari ecc.) che per decenni hanno protetto la società dagli esiti impietosi della concorrenza? E, privata di tutele, la vita del lavoratore non diventerebbe funzione dell'andamento dell'azienda, della stessa concorrenza e dei rapporti fra domanda e offerta di lavoro?

Tutto questo, a ben vedere, prospetta un passaggio di civiltà verso una nuova epoca barbarica, in cui i rapporti sociali e internazionali si svolgerebbero in uno stato di “guerra di tutti contro tutti”. Di fronte a questo scenario, ridurre la portata delle politiche che si stanno sperimentando a mere “ricette per l'osteria dell'indomani” è una mistificazione che cela la l'intrinseca contraddittorietà degli indirizzi elaborati dai tecnocrati europei. Sarebbe ora di ammettere che l'idea teorica di equilibrio economico coltivata da quegli spietati romantici – come Krugman li ha definiti – si traduce nella prassi nel più folle caos. Nondimeno quelle proposte, nella misura in cui mirano a stravolgere gli stessi assetti costituzionali degli Stati, rischiano di dar luogo a modificazioni irreversibili. Se non si vuole sprofondare in un nuovo Medio Evo è forse arrivato il momento di tornare a riflettere sull'antica parola d'ordine “Socialismo o Barbarie”, conferendo al primo termine il suo significato originario di difesa e affermazione dei valori e degli interessi della Società.   

Ultima modifica ilLunedì, 21 Ottobre 2013 15:17
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