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10 febbraio: sulle foibe dovremmo imparare da Sergio Endrigo

  • Scritto da  Andrea Ragona e Lorenzo Zamponi
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10 febbraio: sulle foibe dovremmo imparare da Sergio Endrigo

Sergio Endrigo è nato a Pola, Istria, nel 1933. Nel 1947 emigrò in Italia, per le vicende normalmente conosciute come "esodo Istro-Giuliano-Dalmata". Che Endrigo sia istriano di nascita non lo sa quasi nessuno, eppure racconta la sua storia in una canzone, a dir la verità altrettanto sconosciuta, inititolata 1947. Oggi è il Giorno del ricordo di quell'esodo e delle foibe: è quindi il giorno giusto per ascoltare quella canzone. Perché ci restituisce quelle vicende in maniera reale, tramite la dimensione di un dramma umano e non con il filtro di una ricostruzione strumentale.

Istituito nel 2004, dall'allora governo Berlusconi, il "giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe, dell'esodo giuliano-dalmata e delle vicende del confine orientale" è un atto di memoria ufficiale, di stato, destinato fin dal testo della legge 92/2004 ad agire apertamente all'interno della memoria pubblica. Un atto apertamente unilaterale, prodotto da una maggioranza parlamentare sulla base di una spinta identitaria ben precisa, quella del nazionalismo italiano, delle associazioni degli esuli e dell'estrema destra, e privo di un qualsiasi confronto sia con i nostri vicini sloveni e croati sia con la comunità accademica. L'obiettivo non è incentivare la ricerca storiografica sull'argomento per illuminare nuovi aspetti e aprire nuove strade per l'approfondimento in maniera aperta e complessa, bensì porre tutto il peso delle istituzioni repubblicane nel campo della memoria pubblica, impegnando lo stato ad organizzare "iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado", "studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende". Conservare la memoria così come la legge la stabilisce, non incentivare la ricerca.

E così, da allora, si è fatto. L'Italia ha scelto di raccontare le vicende dell'Istria e della Dalmazia limitandosi a parlare di esodo e foibe, ignorando la ricerca storica sull'argomento e accontentandosi della versione dei fatti più semplice e accettabile, quella del genocidio, della pulizia etnica, degli "italiani brava gente" da una parte e dei cattivi slavi dall'altra. Più o meno come commentare una partita di calcio raccontando solo quanto avviene in una delle due metà campo, e sostituendo cronisti preparati con tifosi ignoranti.

Ignoranti del fatto che a teorizzare la pulizia etnica in Venezia Giulia, Istria e Dalmazia fu il fascismo: già nel 1920, Mussolini, in un celebre discorso a Pola, proponeva di "sprangare la porta di casa e rastrellare nell'interno", perché "chi è dentro le nostre terre" e non è italiano, ma slavo, membro di una "razza […] inferiore e barbara", "deve andarsene". Ignoranti del fatto che a cedere le terre orientali fu la Repubblica Sociale, accettando senza fiatare che finissero sotto l'amministrazione diretta del Terzo Reich. Ignoranti della differenza tra la lettura parziale e semplicista del "genocidio" e l'interpretazione complessa e approfondita di un'insurrezione che abbatte le strutture sociali e politiche esistenti, incrociando conflitti etnici secolari e sfociando purtroppo in fatti sanguinosi e tragici.

Capire e ricordare le foibe significa raccontarle inserendole nel giusto contesto, approfondendo cosa successe prima e cosa successe dopo, non cedendo a nessuna tifoseria nazionalista. Perché se è vero che è giusto ricordare le proprie vittime è ancora più necessario ricordare i propri errori.

Ed è per questo che noi, alla retorica dei "nostri morti", preferiamo la canzone di Sergio Endrigo, che narra di un dramma umano e non etnico, e di un'epoca in cui si sperava che l'umanità imparasse a rendere giustizia alle vittime di qualsiasi etnia.

Come vorrei
essere un albero, che sa
dove nasce
e dove morirà

Ultima modifica ilLunedì, 21 Ottobre 2013 15:30
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