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Regionali 2015: eppur si muove

Regionali 2015: eppur si muove

Che quello dell’astensione sia il vero partito di maggioranza relativa nel nostro paese è un dato ormai consolidato. Nel Mezzogiorno – per varie motivazioni storiche, politiche e sociali – va ancora peggio. Con le elezioni europee si è toccato il punto più basso della storia repubblicana: ha votato il 51% degli aventi diritto in Campania e Puglia, il 45% in Calabria, appena il 42% in Sicilia. La sensazione è che per le prossime elezioni regionali le percentuali possano abbassarsi ancora. In Calabria – dove si è votato lo scorso autunno – ha preso parte al voto poco più del 43% degli aventi diritto, circa 17 punti percentuali in meno rispetto alla precedente tornata per l’elezione del Presidente del consiglio regionale. Il tutto sicuramente viziato dall’indecoroso spettacolo offerto dalla classe politica a livello nazionale quanto regionale: semplificando il concetto, potremmo affermare che solo i consigli regionali della Valle d’Aosta e del Friuli Venezia Giulia sono rimasti immuni da scandali, inchieste e denunce per l’utilizzo distorto di rimborsi destinati all’attività politica dei gruppi consiliari. Questa circostanza – purtroppo – non ha riguardato solo il Trota o Nicole Minetti, ma ha tristemente toccato in modo trasversale quasi tutte le forze politiche, a partire dal Pd e da Forza Italia, fino al M5S, come nel caso emiliano.

Poi ad aggravare la situazione – già di per sé sconfortante – gli scandali e il malgoverno, le grandi opere e gli appalti, la corruzione nei diversi settori della nostra economia, la sanità, il ciclo dei rifiuti, la formazione professionale, e chi più ne ha più ne metta. E poi ancora la crisi economica, la disoccupazione di massa, la precarietà più o meno giovanile, la povertà che ha raggiunto il dato più alto dal dopoguerra, ovvero circa 10 milioni di persone. È difficile biasimare chi decide di non partecipare al voto, è ancora più difficile farlo quando ad astenersi sono le nuove generazioni, lontane anni luce dalle ideologie che hanno dominato la storia del secolo scorso. In tal senso va però decostruito un luogo comune: non è vero, alla prova dei dati, che i giovani partecipano meno alla vita politica del nostro paese, anzi. Secondo un sondaggio elaborato da Demos circa il 40% dei giovani italiani (compresi nella fascia di età tra i 15 e i 34 anni) partecipa attivamente a manifestazioni di piazza, campagne tematiche, comitati civici, associazioni di volontariato e così via. Un dato che è del 15% superiore rispetto al resto della popolazione. Vero invece che questo attivismo generazionale non si traduce automaticamente in adesione e militanza politica. Un giovane su due ha dichiarato di votare non per convinzione e/o adesione a un progetto politico, ma al contrario per un senso di sfiducia o “contro” qualcosa o qualcuno. Sono le istituzioni e i partiti tradizionali a essere messi in discussione, e la parabola renziana – che aveva raccolto percentuali importanti tra le nuove generazioni alle scorse europee – sembra aver già esaurito il proprio credito di fiducia, vista l’alta partecipazione giovanile alle mobilitazioni contro il Jobs act e la riforma della scuola. Discorso simile per quella che fu la lista ‘L’Altra Europa con Tsipras’, che di fatto aveva raccolto un consenso tra le fasce giovanili pari al doppio della media nazionale secondo una rilevazione Ipsos, ovvero tra il 7,5 e l’8,2%, a dispetto del risicato 4% ottenuto sul totale dei votanti.

In conclusione, le recenti delusioni, costituite rispettivamente dal M5S, dal partito della nazione di Renzi e, seppur in forma ridotta, da ‘L’Altra Europa con Tsipras’, rischiano di rendere strutturale il senso di sfiducia e di allontanare i giovani dalle urne, nonché di rendere poco influente l’impegno di quei pochi che con passione stanno animando una campagna elettorale che sta esprimendo ben pochi elementi di novità per il quadro politico italiano. Ma le eccezioni ci sono e son degne di nota. Le liste a sostegno di Luca Pastorino in Liguria stanno sicuramente facendo emergere tutte le contraddizioni di un Pd ormai in crisi d’identità, dopo le denunce di voto inquinato che hanno accompagnato le primarie dopo la vittoria della Paita. In Toscana, un giovane e capace candidato come Tommaso Fattori – da sempre attivo nei movimenti, non ultimo quello per l’Acqua Pubblica e già candidato con l’AltraEuropa – è stato capace di trasformare la competizione elettorale regionale in un laboratorio politico con l’obiettivo di superare le sinistre e residuali appartenenze, per sperimentare nuove forme e nuovi linguaggi della politica. In Campania, candidati come Raffaella Casciello, attivista di ACT! Agire Costruire Trasformare, candidata nella provincia di Salerno, o Igor Prata in provincia di Caserta – candidati nella lista “Sinistra al lavoro per la Campania” a sostegno di Salvatore Vozza Presidente – stanno sicuramente conducendo una battaglia di frontiera nella tornata elettorale che passerà alla storia come quella degli “impresentabili”. Loro, almeno, non solo sono presentabilissimi, ma a dispetto della loro giovane età – la prima è nata nell’89,  il secondo nell’86 – possono davvero determinare un cambio di passo per una sinistra che in Campania, ma più in generale in tutto il mezzogiorno d’Italia, rischia una vera e propria crisi di senso e di identità. In sostanza, senza nulla togliere agli altri candidati, sono una vera e propria boccata d’ossigeno per la sinistra campana.

La macchina massmediatica – com’è doveroso che sia – sta raccontando quanto di più brutto possa emergere da questa competizione politica. Candidati ineleggibili perché condannati in via definitiva, indagati per voto di scambio e collegati a sistemi di potere che cambiano schieramento in base a come cambia il vento, trasformismi della prima e della seconda ora, l’eterno ritorno di De Mita, i cosentiniani nel Pd, fascisti che come la peste contagiano indistintamente liste a sostegno di De Luca o di Caldoro, il Movimento 5 Stelle che ha fatto partire il solito disco ormai rotto da anni, utile a denunciare lo schifo che ci circonda, inutile al fine di trovare soluzioni e mettere in campo un processo di cambiamento che sia reale e non digitale. Troppo pochi, invece, i riflettori sui giovani candidati delle liste di sinistra che ambiscono a scrivere una storia nuova, fatta di dignità e giustizia sociale, di ambiente e di anticamorra, di lavoro che non c’è (o se c’è è precario…), dei 500.000 giovani campani che negli ultimi dieci anni sono partiti per cercare fortuna altrove e di quelli rimasti, che loro malgrado sono costretti a confrontarsi con la peggiore crisi dal dopoguerra ad oggi.

In una delle tante iniziative promosse in queste ore, Raffaella Casciello ha affisso uno striscione all’ingresso di un Centro per l’impiego, sul quale c’è scritto: «52,3% di giovani disoccupati in Campania, siamo la vera maggioranza…». La speranza di chi scrive è che non solo si possa mettere in moto un percorso di riscatto politico e sociale capace di invertire questa tendenza e garantire un futuro dignitoso ai giovani meridionali, ma che questo possa avvenire attraverso un vero e proprio moto di ribellione di chi questa condizione di esclusione sociale e di precarietà esistenziale la vive in prima persona. A partire da chi per la prima volta dovrà decidere se partecipare o no al voto e che magari in questo ultimo anno ha occupato la propria scuola ed è sceso in piazza per rivendicare finanziamenti alle borse di studio e all’edilizia scolastica. Sono soprattutto questi ultimi che ci auguriamo possano stupirci il prossimo 31 maggio, dimostrando di essere molto più capaci e determinati della classe politica che ci governa. Il pensiero però va anche ai tanti che sono stufi di promesse non mantenute, sono disillusi, sfiduciati, e a fronte di questo senso costante di nausea stanno pensando di non partecipare al voto o magari sono ancora indecisi. Lo scrivevamo in premessa, costoro non sono da biasimare, in parte sono da capire, seppur in parte. È scontato ribadire quanto la scelta della non partecipazione al voto possa essere un’implicita accondiscendenza di chi – come i partiti e i candidati del pensiero unico – vuole una democrazia monca, statica, come mero strumento per legittimare le élite che detengono e conservano il potere. Ci interessa però mettere in risalto un altro aspetto: il suffragio universale in Italia è stato introdotto solo nel 1946, è figlio del lotta di liberazione dal nazifascismo e della costituente repubblicana. È figlio del sangue versato da chi ha perso la vita per la nostra libertà, è un potente strumento di controllo democratico, o almeno così è stato concepito. Per tale ragione crediamo sia doveroso – in una stagione in cui avanzano nuove forme di autoritarismo e di messa in discussione dei principali fondamenti democratici e costituzionali – recuperare, preservare e tutelare lo strumento più potente per difendere la nostra libertà, ovvero l’esercizio del voto come espressione della volontà popolare e, magari, come atto di liberazione collettiva in una stagione nella quale ci vogliono tutti ammaestrati e allineati, dove o voti per loro – quelli delle larghe intese – o è meglio che stai a casa. Anche in questo modo è possibile difendere la democrazia dagli impresentabili di ieri e di oggi. 

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