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A quale gioco giocano le agenzie di rating

  • Scritto da  Riccardo Pariboni
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aaa tripla aNegli ultimi giorni ha fatto prepotente ritorno sulla scena uno dei protagonisti principali, e al contempo più misteriosi, degli ultimi mesi di turbolenze finanziarie: Standard and Poor's, la più grande ed influente agenzia di rating del panorama mondiale. Questa, come è ben noto, insieme a pochissime consorelle è in teoria deputata a fornire a chi è desideroso di investire il proprio denaro un outlook sulla solvibilità, la capacità di restituire il denaro e la stabilità dei soggetti che emettono titoli azionari ed obbligazionari; non ultimi gli Stati, per quanto riguarda i titoli del debito pubblico. In questa maniera, sempre in teoria, chi investe lo fa con cognizione di causa, poichè soggetti altamente specializzati effettuano per lui, che evidentemente non ne possiede strumenti e competenze, una valutazione preventiva ed affidabile sui rischi che si corrono nell'acquistare un titolo piuttosto che un altro.

Nel suo ultimo pronunciamento, S&P's ha rivisto al ribasso il suo giudizio in merito alla situazione dei conti pubblici dell'Italia e di altri otto paesi europei, ciò che in termini tecnici si chiama un declassamento.

La prima osservazione che l'accaduto suscita rischia di essere banale, per quanto è ovvia. La medicina da cavallo che il nostro Governo ci ha impartito e ci impartisce ancora non è poi servita granchè, nel suo compito di rassicurare i mercati e ricostruire un'immagine di serietà e sobrietà al nostro paese. Ancora più ovvio ed ancora più grave: per quanti sacrifici vengano chiesti alla popolazione, immolata sull'altare della riduzione del debito pubblico, tutto può venire vanificato in un amen dal verbo proferito da una o due grandi società multinazionali elevatesi ad arbitri della partita degli scambi finanziari, che con i loro giudizi, non importa quanto fondati e giustificati, hanno la capacità di rendere più gravoso da parte dell'Italia (e non solo, come abbiamo visto) l'adempiere ad i propri obblighi ed il rifinanziarsi sul mercato del debito pubblico. Il perchè è molto semplice: se sei giudicato un soggetto a rischio, per ottenere un prestito sarai costretto a ricompensare maggiormente chi si assume il suddetto rischio investendo nei titoli del tuo debito. Tradotto semplicemente questo significa pagare un tasso d'interesse più elevato e vedere aumentare il proprio spread rispetto a titoli emessi da Stati ritenuti non a rischio (nel caso europeo, questo ruolo di parametro di riferimento è svolto dai Bund tedeschi).

Tuttavia, oltre le conclusioni più immediate, meritano attenzione almeno altri due aspetti:

1. Nel mondo economico, e più in generale in qualsiasi contesto in cui si ripetono nel tempo interazioni uguali o simili, con gli stessi soggetti coinvolti, ci sono due cose che contano e molto: la reputazione e la credibilità. È evidente che, a questo punto della storia, quando il primo ministro francese dichiara in maniera altisonante che "non ci faremo dettare l'agenda dalle agenzie di rating", seguito a ruota da affermazioni analoghe da parte di tutti i governanti europei, la credibilità di costoro rasenta lo zero. Le agenzie di rating hanno dettato di fatto l'agenda a Stati in teoria sovrani almeno negli ultimi tre anni, grazie soprattutto alla condotta dell'Unione Europea e delle altre istituzioni internazionali che, esattamente sulla base degli outlook emessi da Standard and Poor's, Moody's e Fitch, hanno preteso ed imposto dai paesi aderenti misure restrittive, depressive e folli. Era semplicemente un pretesto per regolare qualche conto interno, comprimere diritti e trasferire enormi quantità di ricchezza da chi lavora, studia, è disocccupato o pensionato a favore di chi percepisce profitti e rendite? Sicuramente si, ma ora sembra che il gioco sia sfuggito di mano.

I paesi europei si sono creati una disastrosa reputazione di soggetto che asseconda qualsiasi battito di ciglia delle più volte nominate agenzie, facendo seguire ad ogni loro pronunciamento le misure di politica economica richeste. Questo ha comportato un enorme delega di poteri e responsabilità a soggetti privati, privi di ogni controllo e regolamentazione, ma lamentarsene ora è ipocrita e insensato. Era tutto logico, tutto prevedibile.

Incidentalmente poi, fino a che l'Europa persevererà nel non permettere alla Banca Centrale Europea di agire da prestatore di ultima istanza, di fatto rinuncerà a ogni possibilità di intervento stabilizzatore. Per smentire le analisi di Standard and Poor's continueranno ad esserci esclusivamente le chiacchiere e le parole che, come questi giorni ci dimostrano, non servono a molto.

2. Se per un momento smettessimo di pensare alle agenzie di rating come ad un soggetto fondamentalmente alieno, avulso dalla realtà e misterioso, una sorta di arbitro super partes, per iniziare invece a cercare di trovare una logica nelle loro azioni degli ultimi mesi e nel loro vero ruolo, si potrebbe abbozzare una ipotesi abbastanza inquietante ma non per questo non realistica.

Di fatto S&P's e co. sembrano manipolare i finanziari, come qualsiasi soggetto che aspira al profitto desidererebbe fare (non dimentichiamo che queste agenzie sono società private, interessate a produrre ricchezza per i propri azionisti), ma con una potenza di fuoco enormemente maggiore.

Se guardiamo indietro, partendo dall'ultima esplosione della bolla dei debiti pubblici, vediamo come prima abbiano fatto balenare segnali di pericolo imminente, ottenendo in questa maniera un enorme incremento delle remunerazioni sui bond di numerosi paesi e delle transazioni su di essi. Una opportunità di investimento notevole e succulenta per chi ha più informazioni del resto del mondo e soprattutto per chi queste informazioni di fatto le genera. Ora, per garantire che queste opportunità di investimento non si rivelino un rischio azzardato, le stesse agenzie pretendono, come si legge tra le righe del rapporto di S&P's che i paesi interessati alla speculazione da loro alimentata vengano messi in sicurezza. Incidentalmente, è curioso come questo, secondo il rapporto, debba passare attraverso un intervento diretto dello stato nell'economia, buttando alle ortiche la tanto decantata austerity, a dimostrazione di come quest'ultima sia utile quando c'è da fare il lavoro sporco dentro casa, ma che quando c'è da salvare l'economia di un paese, e i soldi di chi ci ha investito, non serve assolutamente a niente se non ad aggravare le crisi.

In sintesi, prima faccio aumentare il rendimento su titoli del debito pubblico di paesi di cui pavento il rischio. Magari però ci investo, dato che sono in grado di ottenere in un secondo momento, oggi, che i paesi di cui sopra tornino ad essere dichiarati soggetti non a rischio, garantendomi così un buon esito al mio investimento.

C'è il sospetto fondato che una condotta del genere implicherebbe una serie di reati piuttosto seri, dalla manipolazione di informazioni sensibili all'insider trading. Ovviamente, è un'ipotesi, che magari non è neanche passata per la testa di chi le agenzie di rating le gestisce e le comanda. E questo potrebbe alimentare il nostro rimpianto: se fossimo stati dei rapaci, avidi e danarosi capitalisti, a noi sarebbe passata per la testa. Grazie al cielo, non lo siamo.

 

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Ultima modifica ilLunedì, 21 Ottobre 2013 15:18
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