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I forconi, il sud e i movimenti

  • Scritto da  Alberto Campailla e Giuseppe Montalbano
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Il “Movimento dei Forconi”, insieme ad alcune sigle di categoria degli autotrasportatori raccolte nel cartello "Forza d’Urto", è alla base delle agitazioni delle numerose organizzazioni delle forze produttive che stanno paralizzando le strade siciliane. Comprenderne le ragioni e i limiti significa provare a fare un passo oltre le semplificazioni giornalistiche che si alternano in questi giorni.

Gli effetti depressivi dei programmi di austerity promossi dalla BCE e fedelmente tradotti nelle misure lacrime e sangue del governo Monti assestano un colpo mortale a un'economia, come quella siciliana, che da anni è ostaggio di un'insostenibile pressione concorrenziale da parte dei mercati agricoli esteri, delle multinazionali della pesca e dell'incapacità del governo regionale di predisporre politiche di rilancio ad ampio respiro per il tessuto delle piccole e medie imprese.

Il pomodoro  pagato all'agricoltore pochi centesimi al chilo, finisce sui banconi dei supermercati a più di 2 euro: un ricavato esponenziale delle grandi catene di distribuzione che piega i piccoli produttori costringendoli a chiudere. 1 kg di grano acquistato a 30 centesimi si trasforma in una corrispondente quantità di pane a non meno di 2 euro. La crisi profonda di questi settori produttivi e l'impoverimento decennale di imprese e lavoratori costretti a sopravvivere con sussidi europei (sempre più scarsi) costituisce la base delle rivendicazioni di un movimento composito, differenziato al suo interno.

Un movimento privo nella sua origine di un profilo politico definito e unito al contrario da un risentimento antico contro "la politica" che nell'esperienza quotidiana di questa gente ha finora assunto il volto del clientelismo democristiano, dello sfruttamento mafioso e della retorica di diritti non garantiti, ma "scambiati". Una classe politica che ha in primo luogo il volto delle false promesse e della gestione "privata" della cosa pubblica da parte del governo Lombardo, ma che assume adesso i lineamenti di un governo tecnico di banchieri deciso a far pagare la crisi del finanzcapitalismo su questo angolo di terra già vessato fino allo stremo ben prima del 2007.

Il "movimento dei forconi" catalizza una sofferenza diffusa in larga parte della popolazione siciliana e sta costruendo in questi giorni un piano di discorso pubblico attraverso azioni di blocco della mobilità e di sciopero che rientrano nelle pratiche dei movimenti sociali.

Sicuramente bisogna essere entusiasti che vi sia una voglia generale di dire stop alle politiche di austerity che strangolano i soggetti più deboli e in particolar modo il sud Italia, attaccando allo stesso tempo un'élite politica che non riesce più a rappresentare le istanze e i bisogni della società.

Questo movimento pertanto si configura come effetto e, insieme, risposta alla crisi. Come del resto le lotte della Fiom, degli studenti, dei giovani precari, del popolo dei beni comuni che hanno segnato una fase politica e hanno imposto nuovi temi all'agenda di questo paese, costruendo un ampio ragionamento di opposizione alle politiche di austerity promosse dalle istituzioni europee e dai governi nazionali, in occasione ad esempio della giornata, per quanto controversa, del 15 ottobre in Italia. Ma con quali differenze?

I movimenti degli studenti e dei lavoratori negli ultimi anni hanno posto una forte critica a questo modello di gestione della crisi del capitalismo, individuando nei "beni comuni", nella salvaguardia e promozione dei diritti del lavoro e nella formazione la via d'uscita. Al contrario, le istanze di questo movimento, con le stesse controparti, sono cavalcate da una parte da categorie esclusivamente corporative, come gli autotrasportatori, e dall'altra da gruppi neo-fascisti come Forza Nuova, la cui retorica populista niente ha a che fare con il malessere sociale espresso dalle migliaia di cittadini che stanno scendendo in piazza in tutta la regione. 

La costruzione di una mobilitazione e di una fase di opposizione "alla casta e alla crisi" (così leggiamo nelle rivendicazioni del movimento) non può prescindere da alcuni precisi contenuti e rivendicazioni, che in Sicilia, così come in tutto il meridione, devono partire dalla lotta alle clientele e alle mafie che si annidano anche nel tessuto economico e non solo nei palazzi dei "politici", dalla richiesta di un cambio di politiche dello sviluppo che si basi sulla valorizzazione del patrimonio culturale e dei prodotti tipici locali, sulla salvaguardia dell'ambiente e delle nostre bellissime coste, sul rispetto del lavoro dei migranti e delle migliaia di giovani precari costretti a emigrare.

I problemi del contadino siciliano si giocano ormai nel contesto di un'Europa fondata sullo spread e sul privilegio delle banche e nell'alternativa a un modello di governance globale neoliberista. Solo la rifondazione di una diversa Europa, dei diritti sociali e del lavoro, può rappresentare l'orizzonte di un cambiamento autentico. Rinunciare a queste condizioni significa trincerarsi dietro una retorica "autonomista" che non può fornire una risposta organica e radicale alla crisi e ad una politica clientelare. Significa quindi rinunciare all'ambizione di un'alternativa di società.

Appiattire la lettura di un simile movimento solo sulle pressioni e la direzione di gruppi neo-fascisti è fuorviante e non coglie la criticità della questione. Le dinamiche innescate dalla crisi nei diversi gruppi sociali colpiti sono terreno fertile per le derive più reazionarie. È qui che si misura la responsabilità, in termini di scarsa presenza storica nella società e mancanza di proposta politica alternativa, da parte delle forze partitiche, sindacali, associative e di movimento della sinistra, lasciando le porte aperte all'egemonia delle destre.

Ultima modifica ilDomenica, 15 Dicembre 2013 18:14
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